I Ricordi (dispense)
Sito: | Scuola di Scienze Umanistiche |
Corso: | Bianchini - Storia della pedagogia e Pedagogia generale - 2016/2017 |
Libro: | I Ricordi (dispense) |
Stampato da: | Utente ospite |
Data: | venerdì, 22 novembre 2024, 06:51 |
Descrizione
I Ricordi
1554
1.
Ricordi di Fratel Sabba di Castiglione
Ricordo CXI, Cerca il creare delli figliuoli
Io sono certo che spesso vi abbatterete, perché sono molti li padri di famiglia, li quali hanno li figliuoli di perspicace et buono ingegno et buono aspetto, ma sono negligenti, freddi, e tepidi in crearli, in ammaestrarli, in disciplinarli, donde si proceda ò per essere loro stati mal creati dalli loro padri ò per tracuraggine, ò dapocagine, io no’l so. Però io credo che un padre non possa fare al Mondo opera più grata, accetta et meritoria appresso a Nostro Signore Dio, né più laudata et comendata appresso gli uomini del Mondo, né di maggior soddisfazione et contentezza appresso se medesimo che bene allevare et creare li figliuoli, et certo è che quel padre che poca cura ha delli figliuoli molto manco ne haverà delle altre cose.
Et però il mio fecondissimo Gieronimo dice che nella primitiva Chiesa santa et virtuosa, li padri li quali avevano male allevati allevati li figliuoli erano repulsi et scacciati dalle promotioni, dalle prelature et dignità ecclesiastiche, perché era presontione che quelli che erano stati negligenti et trascurati cerca li figliuoli non potessero essere diligenti et solleciti cerca il suddito popolo; appresso alli sapientissimi Ateniesi era una legge che, sì come il padre sempre era obligato ad alimentare et erudire il figliuolo, così il figliuolo era obligato ad alimentare il padre, avendo esso il modo, et il padre essendo venuto in miseria; il gran Teseo limitando tal legge (et certo molto discretamente) ordinò et statuì che solamente quelli figliuoli obligati fossero ad alimentare li padri venuti in povertà, dalli quali essi figliuoli erano stati ben creati, et ben eruditi, et gli altri non.la legge certo era pia, ma la limitatione fu santa, acciocché li padri cerca li figliuoli fossero diligenti et solleciti. Et se vi diranno questi figliuoli come si hanno a creare, vi dirò che sopra tutto habbiano in loro religione, la qual consiste in temere et amare Dio come sommo bene et creator del tutto et suo, in riverire il padre et la madre come loro principio et causa dell’essere corporale, osservare li religiosi, massimamente li sacerdoti, come servi et ministri di Nostro Signore Giesù Cristo, in honorare li più attempati et più antichi di loro, massimamente vecchi, virtuosi, qualificati, graduati, perché l’honorare li suoi maggiori è un manifesto argomento di umiltà et di buona et onesta creanza, et in somma desiderarei che nel figliuolo tutte le virtù fossero, ma sopra ogni altra la verecondia, overo pudore, ò come altri dicono modestia, la quale, secondo Aristotele, è un modesto timore di giusta reprensione, la quale virtù avenga che a ciascuna età, a ciascuna persona, a ciascun tempo, et in ogni luogo si convenga, nondimeno nel giovane, è molto commendata et laudata, sì come quella che tutte le virtù mantiene et conserva e tutti li vitii abborrendo, scaccia et disperde.
Ricordo CXI, Cerca il creare delli figliuoli
Io sono certo che spesso vi abbatterete, perché sono molti li padri di famiglia, li quali hanno li figliuoli di perspicace et buono ingegno et buono aspetto, ma sono negligenti, freddi, e tepidi in crearli, in ammaestrarli, in disciplinarli, donde si proceda ò per essere loro stati mal creati dalli loro padri ò per tracuraggine, ò dapocagine, io no’l so. Però io credo che un padre non possa fare al Mondo opera più grata, accetta et meritoria appresso a Nostro Signore Dio, né più laudata et comendata appresso gli uomini del Mondo, né di maggior soddisfazione et contentezza appresso se medesimo che bene allevare et creare li figliuoli, et certo è che quel padre che poca cura ha delli figliuoli molto manco ne haverà delle altre cose.
Et però il mio fecondissimo Gieronimo dice che nella primitiva Chiesa santa et virtuosa, li padri li quali avevano male allevati allevati li figliuoli erano repulsi et scacciati dalle promotioni, dalle prelature et dignità ecclesiastiche, perché era presontione che quelli che erano stati negligenti et trascurati cerca li figliuoli non potessero essere diligenti et solleciti cerca il suddito popolo; appresso alli sapientissimi Ateniesi era una legge che, sì come il padre sempre era obligato ad alimentare et erudire il figliuolo, così il figliuolo era obligato ad alimentare il padre, avendo esso il modo, et il padre essendo venuto in miseria; il gran Teseo limitando tal legge (et certo molto discretamente) ordinò et statuì che solamente quelli figliuoli obligati fossero ad alimentare li padri venuti in povertà, dalli quali essi figliuoli erano stati ben creati, et ben eruditi, et gli altri non.la legge certo era pia, ma la limitatione fu santa, acciocché li padri cerca li figliuoli fossero diligenti et solleciti. Et se vi diranno questi figliuoli come si hanno a creare, vi dirò che sopra tutto habbiano in loro religione, la qual consiste in temere et amare Dio come sommo bene et creator del tutto et suo, in riverire il padre et la madre come loro principio et causa dell’essere corporale, osservare li religiosi, massimamente li sacerdoti, come servi et ministri di Nostro Signore Giesù Cristo, in honorare li più attempati et più antichi di loro, massimamente vecchi, virtuosi, qualificati, graduati, perché l’honorare li suoi maggiori è un manifesto argomento di umiltà et di buona et onesta creanza, et in somma desiderarei che nel figliuolo tutte le virtù fossero, ma sopra ogni altra la verecondia, overo pudore, ò come altri dicono modestia, la quale, secondo Aristotele, è un modesto timore di giusta reprensione, la quale virtù avenga che a ciascuna età, a ciascuna persona, a ciascun tempo, et in ogni luogo si convenga, nondimeno nel giovane, è molto commendata et laudata, sì come quella che tutte le virtù mantiene et conserva e tutti li vitii abborrendo, scaccia et disperde.
2.
Io non vorrei dirlo, ma pur il dirò malvolentieri e non senza dispiacere: in questa nostra provincia di Romagna (ove io desiderarei fossero tutte l’honeste creanze et belli costumi del Mondo) trovo li vecchi essere poco rispettati et riveriti dalli giovani, et massimamente da putti et da fanciulli, il che dimostra una poca laudata creanza, et certo piuttosto contadinesca che civile et urbana, et questo dico per il generale et non per il particolare, perché so in essa essere molti ben creati, come in nessuna altra parte d’Italia ò di Spagna, ove si fa tanta prosfesion di creanza, che per grande ingiuria et infamia si tiene a dire “Andais che fois mal creado”, “Andate che siete mal creato”.
Et cerca l'honorare li vecchi, ve dirò che trovandosi uno oratore di spartani in Atene nel Teatro, ove si ripresentavano alcune comedie overo fabule, a dilettatione et creatione del popolo, vidde un povero vecchio il quale stava in piedi a disagio et da niuno gli era fatto luogo, il buono oratore levatosi dal suo luogo, fece sedere il povero e stanco vecchio, e disse: “Voi ateniesi fate di belle leggi, ma male le osservate”, tanto gli spiacque che’l povero vecchio fosse sì vilmente sprezzato et inhonorato. Et se mi domandarete che altra creanza vorresti voi, dirò ch’io vorrei che tutti li padri per poveri che fossero, facessino imparare alli loro figliuoli tante lettere che sapessino convenientemente leggere et scrivere, perchè le lettere sono come il sale, il quale sì come condisce ogni vivanda, così senza esso ogni vivanda è insipida et sciocca et come dice il mio Milanese, fatto salvo se però non gli volessero fare delli frati del piombo delle bolle di Roma, alli quali è necessario à non sapere lettere. Onde avene che F. Bramante delle penne di San Marino, huomo di grande ingegno, cosmografo, poeta volgare et pittore valente, come discepolo del Mantegna, e gran prospetivo, come creato di Piero del Borgo, ma nella architetura tanto eccellente, che si può dire essere stato il primo che alli nostri tempi habbia rivocata in luce la architetura antica stata sepolta molti anni; come fede ne fanno molte sue fabriche, e tra l'altre il famoso Tempio di S. Pietro di Roma, il quale meritamente si può conumerare tra le più celebri et antiche fabriche di Roma et di Grecia, ancora che da alcuno fosse detto maestro Guastante e da altri maestro Roinante.
Et cerca l'honorare li vecchi, ve dirò che trovandosi uno oratore di spartani in Atene nel Teatro, ove si ripresentavano alcune comedie overo fabule, a dilettatione et creatione del popolo, vidde un povero vecchio il quale stava in piedi a disagio et da niuno gli era fatto luogo, il buono oratore levatosi dal suo luogo, fece sedere il povero e stanco vecchio, e disse: “Voi ateniesi fate di belle leggi, ma male le osservate”, tanto gli spiacque che’l povero vecchio fosse sì vilmente sprezzato et inhonorato. Et se mi domandarete che altra creanza vorresti voi, dirò ch’io vorrei che tutti li padri per poveri che fossero, facessino imparare alli loro figliuoli tante lettere che sapessino convenientemente leggere et scrivere, perchè le lettere sono come il sale, il quale sì come condisce ogni vivanda, così senza esso ogni vivanda è insipida et sciocca et come dice il mio Milanese, fatto salvo se però non gli volessero fare delli frati del piombo delle bolle di Roma, alli quali è necessario à non sapere lettere. Onde avene che F. Bramante delle penne di San Marino, huomo di grande ingegno, cosmografo, poeta volgare et pittore valente, come discepolo del Mantegna, e gran prospetivo, come creato di Piero del Borgo, ma nella architetura tanto eccellente, che si può dire essere stato il primo che alli nostri tempi habbia rivocata in luce la architetura antica stata sepolta molti anni; come fede ne fanno molte sue fabriche, e tra l'altre il famoso Tempio di S. Pietro di Roma, il quale meritamente si può conumerare tra le più celebri et antiche fabriche di Roma et di Grecia, ancora che da alcuno fosse detto maestro Guastante e da altri maestro Roinante.
3.
Essendo esso stato creato frate del piombo dalla F.M. di Papa Giulio Secondo, fu dimandato da un suo amico come passassero le cose sue, rispose “Benissimo, poi ché la mia ignorantia mi fa le spese”; ma perchè quelli frati non sono se non due, e quell'habito non si dà così ad og'uno, et perchè la ignorantia ancora non fa sempre le spese, vorrei che universalmente tutti sapessero leggere et scrivere, et se mi direte dapoi havere imparato competentemente a leggere et scrivere, che creanza volete che’l padre dia al figliuolo? Ne risponderò: se'l padre è povero, voglio che il metta ad un'arte et ad uno mestieri; se mi dimanderete quale arte, vi risponderò a quella alla quale esso fanciullo dalla natura è più inclinato, et se alla pittura, il metta alla pittura, se alla scoltura, il metta alla scoltura, e se gliè inclinato a lavorare in oro e in argento, il faccia orefice, se a lavorare di legname il facci legnaiuolo, e così delle altre arti e essercitij alli quali sono naturalmente proni e disposti, perchè la naturale inclinatione aiuta assai a fare l'huomo eccellente in quel mestieri al quale è inclinato.
Ma non vorrei che intervenisse come a quel figliuolo di quel buon Genovese, il quale essendo stato dal padre menato per Roma, per vedere a qual mestieri era più dalla natura inclinato ad imparare, ritornando a casa, et dalli suoi dimandato qual'arte harrebbe voluto imparare e qual gli andava più per la fantasia d'imparare, rispose da vecchio et non da fanciullo essere Cardinale. Et certo che la inclinatione era molto buona et degna, purchè l’havesse potuta esseguire. Et veramente io credo se tal'arte s'insegnasse che og'uno si sforzerebbe d'impararla, ancora che non fosse dalla natura inclinato. Et se me ricercarete: “Questi maestri da putti come vorresti voi che fossero?”, io vi risponderò: persone accostumate, honeste, da bene et nelli suoi mistieri valenti e famosi a punto come gliè il mio maestro Pietro Antonio Orefice del Castello, accioché ad un tempo li poveri fanciulli, li quali sono di cera, insieme con le arti imparino li buoni costumi, perchè un mestiere, un'arte, per eccellente ch'ella sia, posta in un corpo vitioso, o come una bella et preciosa gioia legato in un anello di vil piombo, o come uno anello di finissimo oro posto nel grugno di un lordo et succido porco, et per l'opposito una eccellente virtù, collocata in un corpo honesto et virtuoso, è come una precisa gemma orientale, incastata in oro purissimo e preciossimo.
Ma non vorrei che intervenisse come a quel figliuolo di quel buon Genovese, il quale essendo stato dal padre menato per Roma, per vedere a qual mestieri era più dalla natura inclinato ad imparare, ritornando a casa, et dalli suoi dimandato qual'arte harrebbe voluto imparare e qual gli andava più per la fantasia d'imparare, rispose da vecchio et non da fanciullo essere Cardinale. Et certo che la inclinatione era molto buona et degna, purchè l’havesse potuta esseguire. Et veramente io credo se tal'arte s'insegnasse che og'uno si sforzerebbe d'impararla, ancora che non fosse dalla natura inclinato. Et se me ricercarete: “Questi maestri da putti come vorresti voi che fossero?”, io vi risponderò: persone accostumate, honeste, da bene et nelli suoi mistieri valenti e famosi a punto come gliè il mio maestro Pietro Antonio Orefice del Castello, accioché ad un tempo li poveri fanciulli, li quali sono di cera, insieme con le arti imparino li buoni costumi, perchè un mestiere, un'arte, per eccellente ch'ella sia, posta in un corpo vitioso, o come una bella et preciosa gioia legato in un anello di vil piombo, o come uno anello di finissimo oro posto nel grugno di un lordo et succido porco, et per l'opposito una eccellente virtù, collocata in un corpo honesto et virtuoso, è come una precisa gemma orientale, incastata in oro purissimo e preciossimo.
4.
Se li padri saranno nobili e ricchi, haranno tre essercitij alli quali degnamente et senza vergogna veruna potranno mettere li loro figliuoli, che sono le lettere, le armi et la mercantia; se mi dimanderete a quali a quali di questi, vi dirò, come di sopra, a quello il quale vedrà il figliuolo più inclinato, se alle leggi, il metta alle leggi, se alla filosofia e medicina, alla filosofia e medicina, se alla humanità, alla humanità, se alle matematiche, alle matematiche, se alla teologia, alla teologia. Se mi domanderete di questi studij qual mi pare più degno, vi dirò: se'l fine dello studio non è per sapere, ma per utilità e per guadagno temporale, studino in legge o in medicina perchè Dat Galienus opes dat sanctio iustiniana, ex alijs paleas, exijtis collige grana; che tanto vuol dire che le altre scientie ti daranno della paglia vana e queste ti daranno del grano; le scientie matematiche sono molto sottili e molto dilettevoli ancora perchè sono nel primo grado della certezza ove l'animo nostro si acquieta; se me direte di tutte queste scientie quale voi eregereste, vi risponderò arditamente il dignissimo et eccellentissimo studio della Sacra Santa Teologia, la quale sola è quella che dà la vera e certa cognitione della deità, questa sola insegna la vera perfetione della humana vita nostra, et che ciò sia vero il 5°, 6° e 7° capitoli di Matteo Apostolo et Evangelista contengono in se più filosofia e moralità che tutti li Socrati, li Platoni, gli Aristoteli Tulij et tutti gli altri filosofi greci et latini del Mondo; questa sola mostra la strada da salire al Cielo, questa è il vero pascolo, il vero cibo et il vero notrimento delle anime nostre, et di questo l'huomo non se ne deve meravigliare punto perchè le altre dottrine e scientie furono trovate dagli huomini puri, et questa dottrina evangelica fu promulgata et data dalla propria bocca del figliuolo di Dio incarnato per la salute nostra Giesù Cristo nostro redentore, perfetto huomo et vero Dio. Anzi vi voglio dire (et dico il vero) che seguendo la opinione di Agostino, ornamento della Chiesa, et del mio Seneca, havendo io consideratione alle miserie, alli guai, alle infermità, all’angustie, alle calamità, alli timori, alli pericoli, li quali ho passato e sofferto in questa presente vita da fin ch'io nacqui in fino a questa hora, se di nuovo potessi rinascere, per nessun modo né per altro vorrei rinascere con soffrire quanto ho sofferto (Però il nostro Salvator Giesù Cristo nella resuscitatione del quatriduano Lazaro non pianse perchè egli fosse morto, ma perchè lo resuscitava alle miserie et alle crunne di questa angosciosa e tribulata vita nostra humana), se non per studiare la sacra et divina Scrittura, la quale per essere hoggi tanto soprabbondante le iniquità, l'avaritia e la sensualità, in questo Mondo tutto posto in maligno, è relegata et confinata per li monasterij tra frati e monaci, sì come se tale divina scientia solamente appartenesse a’ religiosi e non ad altri.
5.
Se mi dirà il figliuolo haver poca fantasia et poca, anzi nulla inclinatione alle lettere, ma alle armi sì, qual sia il mio parere, io risponderò che non ardisco dargli conseglio, prima per non presumere più di S. Agostino, il qual mai non volse consegliare alcuno alla guerra, l'altro si è ch'io veggio la militia a questi nostri guasti tempi sì corrotta e depravata che a me pare più tosto si possa dire un'infame e scelerato latrocinio che militia, et questo peso proceda perchè la maggior parte coloro che hoggidì vanno alla guerra (ove ogni male è lecito non che impunito, come un securo et franco asilo d'ogni vitio et d'ogni ribaldaria) gli vanno mossi dall'avaritia, dalle cupidità, dall'ingordigia di rubare, d'assassinare, di sforzare, rovinare, abbruciare et desolare indifferentemente amici et nemici, anzi più tosto gli amici, per essere manco fatica et minor pericolo; delli sacrilegi non dirò altro se non che le prime cose che vanno a male nelle città prese, sforzate o arrese, sono gli hospitali, le chiese et le sacrestie, nelle quali non lasciano le tele de' ragni, non gli paramenti de gli altari, o i tabernacoli et calici consecrati a Cristo, et poi i monasteri delle povere suore, delle quali se ne fa quello straccio et quel vituperio che la lingua fugge dirlo e la penna aborre scriverlo. O scelerati e impij ribaldi, non vi bastano gli adulterij, gl'incesti e l'altre dishoneste abominationi, che ancora ardite mettere le violenti e sacrileghe mani nelle immaculate serve et spose di N. S. Giesù Cristo, peccato nefando et sopra ogni altro abominevole, di maniera che alli nostri deplorati tempi (con dolore et dispiacere il dico) più volte si sono venuti in Italia gli esserciti pieni di povere monache velate, che parevano capi di Gianizzari. Per questo dirò (et penso dire il vero) che all'età nostra tanto importa a dire un gran soldato quanto un gran cortegiano, che in mio linguaggio tanto monta quanto due perfetti et consumati ribaldi; et però maraviglia non è se la divina giustitia, la quale a lento passo procede alla vendetta delle sue ingiurie et oltraggi, finalmente gli paga con moneta condegna alli suoi scelerati demeriti, sì come la Germania, la Pannonia et l'Africa et altre parti del Mondo ne fanno fede a li presenti secoli, et alli futuri ne faranno memoria eterna; però io parlo delli soldati scelerati et ribaldi et non de gli buoni et virtuosi, perchè io so che in Italia et fuor d'Italia sono molti buoni, degni et valenti capitani d'arme, i quali per ogni conto meritamente si ponno agguagliare a gli Scipioni, a gli Emilij, alli Marcelli, a gli Epaminondi, et à gli altri Romani et Greci antichi di quelli felicissimi tempi; et molti soldati privati, che in nessuna cosa cedono à gli Horatij, à gli Scevoli, alli Dentati, alli Sergi, à gli Scevi et altri simili, alli quali sì come sono virtuosi, così questa vituperata et degenerata militia delli nostri tempi dispiace; ma come huomini savij bisogna che faccino come quel buon contadino, il quale al tempo della carestia mangia del pane della fava, per non havere di quello di grano come vorrebbe, o come quel cane che per non haver carne rode le ossa.
6.
O magno Carlo, o nuovo Cesare, alli tempi nostri per le tue virtù eletto da Dio secondo il cuor suo Imperator Romano, per difensione et ripartitione et istauratione dello afflitto, povero et sconsolato Cristianesimo, il quale havea et del tuo valore maggiore bisogno che del pane quotidiano, se desideri fare (come ogn'un crede) la pia, santa et religiosa impresa à te riserbata contra infedeli avanti ogni altra cosa riforma, correggi, castiga, emenda, rinnova questi dissoluti et licentiosi essercitij, per non dire sceverati, riparali, ristorali con huomini nobili, degni et virtuosi, accioché con lo aiuto et favore del Cielo, con le vittoriose armi possi guadagnare, anzi ricuperare li gran paesi, li Regni et gli Imperij ingiustamente usurpatida infedeli et perfidi cani con le Cristiane virtù et Cristiani costumi, et acquistare alla fede et devotion di N. S. Giesu Cristo quelle meschine anime, le quali gabbate dalla scelerata setta del perfido Maumetto tutta via si perdono, il quale sarà un guadagno, uno acquisto più precioso, grato et caro à N. S. Dio, quanto una sola anima vale più che tutto il Mondo. Vero è che se la militia fosse santa et religiosa, come già fu alli tempi antichi, quando gli huomini non mossi et spinti dall'autoritia, ma dalla cupidità della gloria et dell'amore della patria, andavano alla guerra solo per acquistare fama et honore et questi tali delli loro ordinari soldi et stipendi contenti vivevano honestamente, secondo le leggi et buone usanze della militar disciplina, io certo consigliarei et essercitarei li padri mettere i figliuoli quando inclinati fossero all'armi, ma perche veggio le cose di essa militia molto disordinate et conquassate, lasso il tutto in arbitrio loro per non rendere conto à Dio nello estremo giuditio di tal conseglio, et esortatione.
Gli è rimasta la mercantia, la quale alli tempi nostri è si degno et honorato esercitio che nessun gentil’huomo privato, per grande che sia, si può vergognare e sdegnare mettervi gli figliuoli, poi che li Venetiani, li quali fanno tanta professione di nobiltà che quasi beffe si fanno delli gentil’huomini di Terraferma, tutti essercitano la mercantia, et li più nobili tra loro sono li maggiori mercanti.
Il medesimo essercitano i Fiorentini, li Genovesi, li Bolognesi, Senesi, Lucchesi, ancora essi molto antichi et nobilissimi gentil’huomini et cittadini, e non solo questi, ma alcuni gran Signori d’Italia con poco onore et riputatione delle loro dignità et gradi, non senza macchia assai d’avaritia essercitano la mercantia, di sorte che a loro meritamente si può dire, come disse il Conte Giacobo Piccinino essendogli presentato un salvo condutto di Pio II, degnissimo Pontefice, nel cui principio erano posti gli soliti titoli (“Pius II diu provid servus servorum Dei etc.”), quelli letti disse, et special di Siena ancora; per tanto io eshortarò il padre nobile mettere il figliuolo, quando esso gli sia inclinato, alla mercantia, intendendo sempre però della mercantia lecita, giusta, honesta, leale, sincera senza inganni, senza dupplicità, senza bugie, senza pergiuri, ma sopra tutto senza mal’odore di contratti dishonesti et illeciti, di usura o della morbiola, come si dice in alcune bande della Romagna, ove sono molti, alli cui nasi tale odore non offende punto, anzi più tosto gli aggrada, e questi per maggiore honestà hanno battezzata la usura per merito. E dicono: “io ho dato denari a merito”; et quei l’altro: “io tengo denari à merito, e certo se questo è merito il Mondo verrà presto al fine, perche li salvi et eletti saranno tanti che tosto si empieranno le seggie vote del Paradiso, le quali piene che siano, secondo alcuni gran savi, verrà la consumation del Mondo.
Gli è rimasta la mercantia, la quale alli tempi nostri è si degno et honorato esercitio che nessun gentil’huomo privato, per grande che sia, si può vergognare e sdegnare mettervi gli figliuoli, poi che li Venetiani, li quali fanno tanta professione di nobiltà che quasi beffe si fanno delli gentil’huomini di Terraferma, tutti essercitano la mercantia, et li più nobili tra loro sono li maggiori mercanti.
Il medesimo essercitano i Fiorentini, li Genovesi, li Bolognesi, Senesi, Lucchesi, ancora essi molto antichi et nobilissimi gentil’huomini et cittadini, e non solo questi, ma alcuni gran Signori d’Italia con poco onore et riputatione delle loro dignità et gradi, non senza macchia assai d’avaritia essercitano la mercantia, di sorte che a loro meritamente si può dire, come disse il Conte Giacobo Piccinino essendogli presentato un salvo condutto di Pio II, degnissimo Pontefice, nel cui principio erano posti gli soliti titoli (“Pius II diu provid servus servorum Dei etc.”), quelli letti disse, et special di Siena ancora; per tanto io eshortarò il padre nobile mettere il figliuolo, quando esso gli sia inclinato, alla mercantia, intendendo sempre però della mercantia lecita, giusta, honesta, leale, sincera senza inganni, senza dupplicità, senza bugie, senza pergiuri, ma sopra tutto senza mal’odore di contratti dishonesti et illeciti, di usura o della morbiola, come si dice in alcune bande della Romagna, ove sono molti, alli cui nasi tale odore non offende punto, anzi più tosto gli aggrada, e questi per maggiore honestà hanno battezzata la usura per merito. E dicono: “io ho dato denari a merito”; et quei l’altro: “io tengo denari à merito, e certo se questo è merito il Mondo verrà presto al fine, perche li salvi et eletti saranno tanti che tosto si empieranno le seggie vote del Paradiso, le quali piene che siano, secondo alcuni gran savi, verrà la consumation del Mondo.
7.
[…]
Per essere voi cavalier di S. Giovanni vi ricorderete sempre à fare l’uffitio del buon Cristiano e religioso con li padri di famiglia, il qual sarà che di continuo habbiano à mente che sì come sono alli loro figliuoli un continuo et domestico specchio, così si guardino con loro detti et fatti dishonesti e illiciti scandalizzarli, con darli con loro mali essempi causa di peccare, come è di biastemare, di rinegare, mal dire, spregiurare, giocare, abbarare et gabbare, di esser bugiardo, disboccato, disonesto et licenzioso, nel parlare disordinato, scostumato et dissoluto, nel mangiare, nel bere, nel dormire et di altri difetti e vitij; perché in tal caso essi padri haverebbono a render conto à Dio non solo delli loro peccati proprij, ma di quelli delli figliuoli commessi per li loro mali esempi; et quell’altro disse il fanciullo figliuolo essere come la molle e tenera cera, e il padre come il fugello, il quale imprimendo il cavo (quale esso si sia) in esso, quella poi indurata, il ricevuto impronto lungamente conserva e ritiene; et alcun santo disse li figliuoli essere specchi delli loro padri, perché in essi le imagini delli loro padri si rappresentano di naturale, parimente ricordarete alli padri che havendo li loro figliuoli inclinati alla religione et essa inclinazione sia confermata da una perseverantia di alcun tempo, se guardino di non impedirgli et disturbarli, anzi essortarli, confortarli et persuaderli à tale impresa santa, perchè in questo nostro mondo, quale in vero altro non è che un sempre turbato mare di angustie e di miserie, non sono altri porti né altre foci che le quiete e tranquille religioni approbate dalla santa madre chiesa; perché di tal disturbo et impedimento et di tutto il bene che gli figliuoli nella religion fatto havessino, ne haverebbeno a rendere conto a Dio.
[…]
Onde aviene che’l padre, parlando però in generale, pur che habbia il figliuolo ricco et honorato, poco si cura ove vada la povera anima; et per questo ben disse il S. Gieronimo: “Cade un asino, gli è chi l’aiuta, roina un’anima e nessuno la soccorre; l’altra causa è diffetto di fede, perché se l’huomo credesse come ogni fedele e buon Cristiano dovrebbe credere, che nostro Signore Dio fosse assoluto Signore del Cielo e della Terra e di quanto in essa si contiene; se credessi tutti li Prencipi del Mondo essere della sua Maestà solamente servi et ministri; se credesse li premi suoi essere certi et eterni, non solamente si allegrarebbe delli figliuoli andati à tal servitio, il quale è un regnare, ma di continuo ringratiarebbe la divina bontà che ispirato et illuminato l’havesse a sì santa et pia elettione; et però sì come il giudicio dell’huomo è perverso et ritroso, così N. S. Dio permette che rida ove dovrebbe piangere et pianga ove rider doverebbe.
Per essere voi cavalier di S. Giovanni vi ricorderete sempre à fare l’uffitio del buon Cristiano e religioso con li padri di famiglia, il qual sarà che di continuo habbiano à mente che sì come sono alli loro figliuoli un continuo et domestico specchio, così si guardino con loro detti et fatti dishonesti e illiciti scandalizzarli, con darli con loro mali essempi causa di peccare, come è di biastemare, di rinegare, mal dire, spregiurare, giocare, abbarare et gabbare, di esser bugiardo, disboccato, disonesto et licenzioso, nel parlare disordinato, scostumato et dissoluto, nel mangiare, nel bere, nel dormire et di altri difetti e vitij; perché in tal caso essi padri haverebbono a render conto à Dio non solo delli loro peccati proprij, ma di quelli delli figliuoli commessi per li loro mali esempi; et quell’altro disse il fanciullo figliuolo essere come la molle e tenera cera, e il padre come il fugello, il quale imprimendo il cavo (quale esso si sia) in esso, quella poi indurata, il ricevuto impronto lungamente conserva e ritiene; et alcun santo disse li figliuoli essere specchi delli loro padri, perché in essi le imagini delli loro padri si rappresentano di naturale, parimente ricordarete alli padri che havendo li loro figliuoli inclinati alla religione et essa inclinazione sia confermata da una perseverantia di alcun tempo, se guardino di non impedirgli et disturbarli, anzi essortarli, confortarli et persuaderli à tale impresa santa, perchè in questo nostro mondo, quale in vero altro non è che un sempre turbato mare di angustie e di miserie, non sono altri porti né altre foci che le quiete e tranquille religioni approbate dalla santa madre chiesa; perché di tal disturbo et impedimento et di tutto il bene che gli figliuoli nella religion fatto havessino, ne haverebbeno a rendere conto a Dio.
[…]
Onde aviene che’l padre, parlando però in generale, pur che habbia il figliuolo ricco et honorato, poco si cura ove vada la povera anima; et per questo ben disse il S. Gieronimo: “Cade un asino, gli è chi l’aiuta, roina un’anima e nessuno la soccorre; l’altra causa è diffetto di fede, perché se l’huomo credesse come ogni fedele e buon Cristiano dovrebbe credere, che nostro Signore Dio fosse assoluto Signore del Cielo e della Terra e di quanto in essa si contiene; se credessi tutti li Prencipi del Mondo essere della sua Maestà solamente servi et ministri; se credesse li premi suoi essere certi et eterni, non solamente si allegrarebbe delli figliuoli andati à tal servitio, il quale è un regnare, ma di continuo ringratiarebbe la divina bontà che ispirato et illuminato l’havesse a sì santa et pia elettione; et però sì come il giudicio dell’huomo è perverso et ritroso, così N. S. Dio permette che rida ove dovrebbe piangere et pianga ove rider doverebbe.
8.
Ancora ridurrete à mente alli padri che essi lasciar possono alli loro figliuoli due heredità o patrimonio, l’uno di beni temporali, et questo è incerto e dubioso et istabile, posto in arbitrio di fortuna volubile et cieca, la quale le terrene cose (come dicono gli Poeti) di continuo à vicenda trasmuta come à lei pare; et l’altro patrimonio è delle virtù, et questo è certo, perpetuo, stabile et fermo, et sì come le cose, sode, certe et ferme sono assai più preciose et degne che le transitorie et mutabili, così il buon padre si deve sforzare lasciare al figliuolo prima la virtù che le ricchezze, tutto all’opposito di quello che hoggi fa la maggior parte delli padri, i quali pur che lascino i figliuoli opulenti et ricchi poco si curano che siano buoni et virtuosi.
Et qui non lasciarò di ricordare perché i buoni padri ogni diligentia, ogni studio et ogni sollecitudine usino acciochè li loro figliuoli imparino le virtù: la diferentia la quale è tra il virtuoso e il ricco, il virtuoso in un momento se la fortuna vuole può diventar ricco, ma il ricco, ancora che la fortuna voglia, non può virtuoso diventare, se non in successo di tempo et con molta fatica; et però quell’arguto e pronto Poeta Spagnuolo disse a quel gran ricco ignorante: “Quello che tu sei posso divenire anch’io, ma tu non puoi divenire quello ch’io sono”, volendo dire che’l Poeta poteva diventar ricco, mai il ricco non poteva diventar Poeta, et per tanto apertamente si comprende la virtù sola essere nostra, perché non ci può essere per alcun caso o accidente tolta, ma le ricchezze, che non sono nostre, ma della fortuna, sì come essa ce le dà, anzi a tempo ce le presta, così ad ogni sua posta senza giusta cagione ce le può togliere, e tutta via ce le toglie et leva, come ogni giorno si vede chiaramente.
Ultimamente ricordarete alli padri, acciochè alli debiti tempi possino alle loro cose provedere, che li figliuoli sono come li lavori di terra, li quali quando sono teneri et freschi facilmente si conducono come l’huomo vuole, ma quando sono secchi et indurati con difficoltà si conducano, quando sono cotti non ci è verso di emendargli et di coreggergli. Così li figliuoli quando sono fanciulli facilmente si ammaestrano, quando sono giovani ancora si ponno emendare, ma non molto agevolmente; et alcuni dissero li fanciulli essere simili a gli arboscelli, li quali mentre sono teneri piegandosi, agevolmente si drizzano, ma indurati poi, anzi che drizzarsi, si spezzano; et alcuno altro disse il figliuolo mentre è fanciullo essere di cera, poi nella gioventù farsi piombo, ma divenuto vecchio diventare di un metallo sì duro che speranza non ci è di emenda, perché l’habito fatto è difficile anzi impossibile à rimuovere, se non con la gratia di Dio, apud quem non est impossibile omne verbum, ma non molto agevolmente, ma poi che sono cotti al fuoco delle male usanze non ci è altro rimedio veruno ad emendargli che la gratia di Dio che resuscitò il quattriduano Lazaro dal monumento, et la quale sì come sola d’ogni tempo può fare miracoli così di continuo sia con esso noi.
Et qui non lasciarò di ricordare perché i buoni padri ogni diligentia, ogni studio et ogni sollecitudine usino acciochè li loro figliuoli imparino le virtù: la diferentia la quale è tra il virtuoso e il ricco, il virtuoso in un momento se la fortuna vuole può diventar ricco, ma il ricco, ancora che la fortuna voglia, non può virtuoso diventare, se non in successo di tempo et con molta fatica; et però quell’arguto e pronto Poeta Spagnuolo disse a quel gran ricco ignorante: “Quello che tu sei posso divenire anch’io, ma tu non puoi divenire quello ch’io sono”, volendo dire che’l Poeta poteva diventar ricco, mai il ricco non poteva diventar Poeta, et per tanto apertamente si comprende la virtù sola essere nostra, perché non ci può essere per alcun caso o accidente tolta, ma le ricchezze, che non sono nostre, ma della fortuna, sì come essa ce le dà, anzi a tempo ce le presta, così ad ogni sua posta senza giusta cagione ce le può togliere, e tutta via ce le toglie et leva, come ogni giorno si vede chiaramente.
Ultimamente ricordarete alli padri, acciochè alli debiti tempi possino alle loro cose provedere, che li figliuoli sono come li lavori di terra, li quali quando sono teneri et freschi facilmente si conducono come l’huomo vuole, ma quando sono secchi et indurati con difficoltà si conducano, quando sono cotti non ci è verso di emendargli et di coreggergli. Così li figliuoli quando sono fanciulli facilmente si ammaestrano, quando sono giovani ancora si ponno emendare, ma non molto agevolmente; et alcuni dissero li fanciulli essere simili a gli arboscelli, li quali mentre sono teneri piegandosi, agevolmente si drizzano, ma indurati poi, anzi che drizzarsi, si spezzano; et alcuno altro disse il figliuolo mentre è fanciullo essere di cera, poi nella gioventù farsi piombo, ma divenuto vecchio diventare di un metallo sì duro che speranza non ci è di emenda, perché l’habito fatto è difficile anzi impossibile à rimuovere, se non con la gratia di Dio, apud quem non est impossibile omne verbum, ma non molto agevolmente, ma poi che sono cotti al fuoco delle male usanze non ci è altro rimedio veruno ad emendargli che la gratia di Dio che resuscitò il quattriduano Lazaro dal monumento, et la quale sì come sola d’ogni tempo può fare miracoli così di continuo sia con esso noi.