Pensieri sull'educazione (dispense)

Sito: Scuola di Scienze Umanistiche
Corso: Bianchini - Storia della pedagogia e Pedagogia generale 2014/2015
Libro: Pensieri sull'educazione (dispense)
Stampato da: Utente ospite
Data: venerdì, 26 aprile 2024, 22:27

Descrizione

Pensieri sull'educazione (dispense)

Sommario

Dell'Educazione

Se è vero ciò che ho detto in principio di questo discorso, come non dubito che sia, che le differenze rile­vabili nel contegno e nella capacità degli uomini sono, più che ad ogni altra causa, imputabili all'educazione ricevuta, ho ragione di concludere che si deve porre gran­dissima cura nel formare la mente dei bambini, dandole sin da principio quell'impronta che dovrà poi avere in­fluenza su tutta la loro vita. Giacché, se essi agiranno bene o male, la lode e il biasimo si faranno risalire all'edu­cazione ricevuta; e se commetteranno alcunché di sconve­niente, si sentirà ripetere il detto comune che ciò dipende dal modo con cui sono stati allevati.

Se la forza del corpo consiste specialmente nell'essere atti a sopportare i disagi, altrettanto si può dire della mente. E il grande principio, fondamento di ogni virtù e di ogni merito, sta in questo: che l'uomo sia capace di rinunciare ai propri desideri, di opporsi alle pro­prie inclinazioni, e di seguire unicamente ciò che la ra­gione gli addita come migliore, benché gli appetiti tendano all'altra parte.

Il grande errore che ho rilevato nell'educazione dei bambini, è che di questo non si è tenuto sufficiente conto al momento debito, e non si è resa la loro mente obbediente alla disciplina e pieghevole alla ragione, quando nell'in­fanzia era maggiormente sensibile e più facile ad essere piegata. I genitori, cui la Natura saggiamente ordinò di amare i propri figli, sono molto proclivi, se la ragione non sorveglia accortamente questo affetto, sono molto proclivi, ripeto, a lasciarlo degenerare in indulgenza esa­gerata. Essi amano i loro piccini, e questo è loro dovere; ma spesso amano anche i difetti che questi hanno. Dicono che non bisogna contrariare i bambini, che bisogna permettere che in ogni cosa la loro volontà sia accontentata; e poiché nell'infanzia questi non sono capaci di grandi vizi, i genitori credono che non ci sia pericolo a indul­gere ai loro capricci, e si divertono anzi di quelle graziose monellerie che giudicano inerenti a quell'innocente età. Ma ad un genitore indulgente, che non voleva si punisse il suo bambino per atto capriccioso, ed anzi lo scusava dicendo che era cosa di scarsa importanza, opportunissimamente rispose Salomone: "Certamente! Ma l'abitudine è importantissima".

Il beniamino deve imparare a menar le mani e a dir impertinenze; bisogna dargli ciò che chiede piagnucolando, e lasciargli fare ciò che gli piace. In tal modo i genitori, assecondando e carezzando i loro figli quando sono piccini, corrompono in loro i principii della Natura, e si meravigliano poi di dover bere più tardi acque amare, mentre sono loro stessi che hanno avvelenata la sorgente. Giacché quando i bambini sono cresciuti, e sono cresciute con loro queste cattive abitudini; quando sono troppo grandi per esser cullati e i genitori non possono più servir­sene come di un giocattolo, allora si lamentano che i mar­mocchi sono cattivi e intrattabili; allora si scandalizzano trovandoli caparbi e si irritano per quei capricci che loro stessi hanno ispirati e fomentati; allora - ma è forse trop­po tardi - sarebbero pronti a sradicare quelle erbacce che hanno piantate con le loro proprie mani, ma che ora han­no gettato troppo profonde radici perché si possano facil­mente estirpare. E se il bambino è stato abituato ad averla vinta in ogni cosa finché ha portato il gonnellino, perché dovremmo trovar strano che desideri far lo stesso e si impunti, quando ha messo i calzoncini? Certamente, quanto più cresce, tanto più l'età mette in luce i suoi difetti, così che pochi sono i genitori tanto ciechi da non vederli, o tanto insen­sibili da non accorgersi dei tristi effetti della loro indul­genza. Prima ancora di poter parlare o camminare, il bimbo faceva la propria volontà con la cameriera; appena ha cominciato a balbettare qualche parola, ha dominato i genitori; perché dunque, ora che è diventato grandicello ed è più forte e più giudizioso di allora, perché ora tutt'ad un tratto dovrebbe esser imbrigliato e tenuto in freno? Perché a sette anni, a quattordici, a venti, dovrebbe per­dere il privilegio che l'indulgenza dei genitori gli ha con­cesso tanto largamente sino allora? Provate un poco a far lo stesso con un cane, con un cavallo o con qualsiasi altro animale, e vedrete se quando sono adulti sarà facile cor­reggerli dei capricci e delle riottosità imparate da piccoli ! Eppure, nessuna di queste creature è tenace ed orgoglio­sa, o desiderosa di padroneggiare sé e gli altri, neppure la metà di quanto lo è l'uomo.

Dell’Istruzione

 

 Forse vi meraviglierete che io ponga per ul­tima l'istruzione, specialmente quando vi dirò che la considero davvero l'ultima parte dell'educazione. Ciò vi potrà sembrar strano in bocca di un uomo di studio; ed il paradosso sembrerà anche maggiore, in quanto che l'istruzione è considerata la principale se non l'unica ragione per cui ci si preoccupa e ci si agita coi bambini; e solo ad essa si pensa e solo essa si cura, quando si parla di educazione. Allorché considero quanto ci si affanni per un po' di Latino e di Greco; quanti anni si impieghino per impararlo; e quanto chiasso e fatica si facciano senza scopo, non riesco a trattenermi dal pensare che i genitori dei nostri ragazzi vivono ancora sotto l'impressione pau­rosa della sferza del maestro di scuola, la quale essi con­siderano come l'unico strumento dell'educazione; così come considerano che tutta la gran questione stia nell'imparare una o due lingue. Come sarebbe possibile al­trimenti incatenare al remo i bambini per sette, otto o dieci dei migliori anni della loro vita, perché imparino una o due lingue, che io credo si potrebbero apprendere a prezzo di tempo e di fatiche assai minori, e quasi per divertimento? Perdonatemi dunque se io affermo di non poter pen­sare senza inquietarmi, che un giovane gentiluomo debba esser messo nel branco e guidato con lo scudiscio, come se dovesse passare sotto la frusta attraverso le varie classi, ad capiendum ingenti cultum. «E allora — mi direte — non vorreste che imparasse a leggere e a scrivere? Do­vrebbe egli essere più ignorante del chierico della nostra parrocchia, che considera Hopkins e Sternhold come i migliori poeti del mondo, e intanto li rende peggiori di quel che sono con la sua cattiva maniera di leggerli?» — No, no, vi prego, non abbiate troppa fretta! Io ammetto che il leggere, lo scrivere, ed il sapere siano necessari, ma non che siano la cosa più importante; e suppongo che voi stessi giudichereste sciocchissimo chi non stimasse indefinitamente di più un uomo virtuoso e saggio che non un grande erudito. Non già che io non creda la coltura di grandissimo aiuto all' uno ed all' altro, quando essi ab­biano l'intelletto equilibrato; però bisogna anche ammet­tere che in coloro che non sono equilibrati, essa li aiuta soltanto ad essere più sciocchi o peggiori.

 

Questo voglio dire: che quando voi penserete all' edu­cazione di vostro figlio e cercherete per lui un maestro od un precettore, non abbiate soltanto in mente, come si fa di solito, il Latino e la Logica. Si deve avere coltura, ma essa deve stare al secondo posto e subordinata ad altre doti maggiori. Cercate qualcuno che sappia discretamente insegnargli le buone maniere; affidatelo a chi possa ga­rantirvi per quanto è possibile la sua purezza; che sap­pia alimentare e sviluppare le sue buone disposizioni, cor­reggere gentilmente e sradicare quelle cattive, ed infon­dere in lui buone abitudini. Questo è il punto principale; e quando vi avrete provveduto, potrete pensare alla col­tura come ad un soprappiù, ed anche con assai minor fatica, seguendo altri metodi che si potranno escogitare.

Della scrittura

 

Quando il bambino saprà legger bene l’In­glese, sarà arrivato il momento di iniziarlo alla scrittura. La prima cosa da farsi sarà di insegnargli a tener bene la penna, e non si dovrà lasciare che l'adoperi sulla carta prima che sappia impugnarla perfettamente; giac­ché non soltanto i bambini, ma tutti quelli che vogliono far bene qualche cosa debbono cominciar a farne non più di una per volta, né cercare di perfezionarsi con­temporaneamente in due parti della stessa azione, quando sia possibile farlo separatamente. Io credo che la maniera italiana di tener la penna fra il pollice e l’indice, sia la migliore; però in questo potrete prima consultare qualche buon maestro di calligrafia, od ogni altra persona che scriva presto e bene.

 

Quando il bambino avrà imparato a tener bene la pen­na, si dovrà insegnargli come disporre la carta, e come collocar bene a posto il braccio ed il corpo. Ottenuto anche questo, il modo di insegnargli a scrivere senza molta fa­tica è di prendere una lastra metallica con sopra incisi i caratteri di quella forma che preferite; ma ricordatevi che questi debbono essere molto più grandi della scrit­tura consueta che egli dovrà adottare; giacché tutti fini­scono poco per volta con scrivere naturalmente più in piccolo di quanto fu loro insegnato, e mai più in grande. Mediante tale lastra incisa, tirate diversi esemplari con l’inchiostro rosso su buona carta da scrivere, ed allora il bambino non avrà altro da fare che ripassare i carat­teri con una buona penna intinta nell'inchiostro nero. In questo modo, se prima gli mostrerete come cominciare e come formare ogni lettera, ben presto abituerà la mano alla formazione di quei caratteri. Quando sappia poi farlo bene, dovrà esercitarsi su carta bianca; e così sarà facil­mente portato a scrivere con quella mano di scrittura che voi desiderate.

Del disegno

 

Quando il bambino sappia scrivere bene e ra­pidamente, credo sarà opportuno non solo continuare ad esercitarne la mano nella scrittura, ma anche a miglio­rarne la pratica mediante il disegno. Utilissima cosa in parecchie occasioni è il disegno per un gentiluomo, ma specialmente quando viaggia; perché spesse volte, esso aiuta mediante poche linee ben combinate ad esprimere quando un'intera pagina di scrittura non potrebbe rap­presentare in modo chiaro ed intelligibile. Quanti palazzi, quante macchine, quanti abbigliamenti può un uomo ve­dere, dei quali potrebbe facilmente ritenere e trasmet­tere l'idea, solo che avesse una modesta abilità nel dise­gno! Mentre invece, se il loro ricordo è affidato solamente alle parole, essi corrono pericolo di andar perduti, o nel caso più favorevole, di essere mal riprodotti anche me­diante la più esatta descrizione!

 

Non intendo dire con ciò che vorrà far diventare vostro figlio un pittore perfetto; per riuscire ad es­serlo in misura appena tollerabile occorrerebbe dedi­carvi maggior tempo di quello che un giovane gen­tiluomo può avere a disposizione, dopo di avere at­teso ad occupazioni di maggior momento. Ma quel tanto di conoscenza della prospettiva e quell'abilità nel disegno che lo mettano in grado di rappresentare passa­bilmente sulla carta ogni cosa che vede, tranne le facce, possono acquistarsi, a mio parere, in breve tempo, spe­cialmente se vi abbia qualche disposizione. Che se poi questa disposizione mancasse, non trattandosi di cosa as­solutamente indispensabile, meglio sarebbe farne tranquil­lamente a meno, piuttosto che tormentarlo senza scopo: e perciò anche in questo come in tutte le altre cose che non sono assolutamente necessarie, attenetevi alla regola: Nìl invita Minerva.

Della stenografia

La stenografia, arte a quanto ho sentito dire cono­sciuta soltanto in Inghilterra, può forse venir giudicata degna di essere imparata, tanto per scrivere presto quelle cose che si vogliono ricordare, quanto per nascondere ciò che non si vuol lasciare esposto agli occhi di tutti. Giac­ché colui che abbia imparato qualche specie di questi ca­ratteri stenografici, può facilmente variarli per il proprio uso privato e secondo la propria fantasia, e con qualche maggior contrazione renderli adatti allo scopo per cui li vuole adoperare. Il metodo del signor Rich, il migliore di tutti quelli che ho veduti, può essere reso, io credo, an­che più facile e più breve da chi conosca e intenda bene la grammatica. Ma non ci sarà bisogno di affrettarsi a cercare un maestro che insegni questo sintetico modo di scrivere: basterà farlo quando in un momento qualsiasi se ne presenti l'opportunità, dopo che la mano del bam­bino si sia ben addestrata a scrivere in modo chiaro e ra­pido. Giacché i ragazzi hanno scarso bisogno della steno­grafia, e non debbono servirsene se non quando sappiano scrivere perfettamente e abbiano preso l'abitudine di farlo.

Del Francese

Non appena il bambino sappia parlare Inglese, è tempo di fargli imparare qualche altra lingua. Nessuno, certo, avrà obbiezioni da fare, se proporrò il Francese: e la ragione è che ci siamo abituati al modo giusto di in­segnare questa lingua, parlandola cioè costantemente col bambino, senza ricorrere alle regole grammaticali. Nello stesso modo si potrebbe facilmente insegnare anche la lin­gua latina, se il precettore fosse sempre con lui, non gli parlasse in altra guisa e lo obbligasse a rispondere nella stessa lingua. Ma siccome il Francese è una lingua viva, e molto usata nella conversazione, così dev'essere in­segnata per la prima, affinché gli organi vocali ancor fles­sibili si abituino all'esatta formazione di quei suoni. Così il bambino acquisterà l’abitudine di pronunciar bene il Francese; il che diviene tanto più difficile quanto più se ne differisce lo studio.

Del latino

 

Quando il bambino sappia parlare e legger bene il Francese, il che con questo metodo si otterrà in un anno o due, bisogna passare al Latino; e c'è da me­ravigliarsi che i genitori, avendo fatto l'esperienza col Francese, non pensino di insegnarglielo allo stesso modo, cioè parlando e leggendo. Bisognerà però aver cura che mentre il bambino sta imparando queste lingue straniere, usando esse sole quando parla o legge col suo precettore, non abbia a dimenticare l'Inglese; e ciò si eviterà fa­cendogli leggere ogni giorno dalla madre o da un'altra persona qualche brano scelto della Sacra Scrittura o di qualche altro libro inglese.

 

Considero il Latino come assolutamente ne­cessario per un gentiluomo; infatti l'usanza, che prevale sopra ogni cosa, ne ha fatto una parte talmente impor­tante dell’educazione, che si obbligano a studiarlo con la frusta, spendendovi penosamente molte ore preziose, anche quei bambini i quali una volta lasciata la scuola non avranno più nulla a che fare con esso per tutto il tempo della loro vita. Ci può esser dunque qualcosa di più ridicolo di un padre che sprechi il proprio denaro e il tempo di suo figlio per fargli studiare la lingua degli antichi Romani, e nello stesso tempo lo destini al commercio, in cui non facendo alcun uso del Lati­no, non mancherà di dimenticare quel poco che ne avrà riportato dalla scuola, e che nove volte su dieci abor­rirà per i cattivi trattamenti che gli ha procurati? Po­trebbe mai credersi — se non ne avessimo tra di noi tanti esempi dappertutto — che un bambino sia obbli­gato ad imparare i rudimenti di una lingua che non dovrà mai usare in tutto il corso della carriera cui è de­stinato, e debba trascurare completamente la calligrafia e la contabilità, le quali sono di grandissima utilità in ogni condizione della vita, e indispensabili nella maggior parte degli affari?

 

Eppure sebbene questi siano requisiti necessari per l'industria, per il commercio e per tutti gli affari di questo mondo, raramente oppur mai si acquistano nelle scuole pubbliche; eppure non soltanto i nobili vi man­dano i loro figli più giovani destinati ai commerci, ma anche i commercianti e gli agricoltori vi mandano i propri figli, benché non abbiano né l'intenzione né la pos­sibilità di farne dei dotti. E se chiedete loro perché lo fanno, essi troveranno questa domanda così strana come se domandaste loro perché vanno in chiesa. L'uso tien luogo di ragione; e per coloro che lo seguono invece della ragione, ha talmente consacrato questo metodo, che essi lo osservano quasi religiosamente, e vi rimangono attac­cati, come se i loro figli non ricevessero un’educazione ortodossa qualora non imparassero la grammatica del Lilly.

Ma per quanto il Latino per alcuni sia necessario, e necessario sia ritenuto da altri per i quali non sarà mai di nessun uso od utilità, tuttavia il modo co­mune di insegnarlo nelle scuole pubbliche è tale, che dopo averci pensato sopra non posso decidermi ad inco­raggiarlo. Le ragioni contro tale metodo sono così evi­denti e persuasive, che hanno indotto alcune persone in­telligenti ad abbandonare non senza successo la strada ordinaria, sebbene il metodo da loro adottato in cambio non sia quello che a me pare il più facile; e che in poche parole è il seguente. Non confondere affatto il bambino con nessuna grammatica, ma insegnare il Latino come si è insegnato l'Inglese, senza l'imbarazzo delle regole; giacché, se ci si pensa bene, quando un bambino viene al mondo, il Latino non gli è più sconosciuto dell’Inglese, eppure egli impara l’Inglese senza maestro, senza regole, e senza grammatica. Potrebbe fare altrettanto con il La­tino, come fece Cicerone, solo che avesse qualcuno sempre vicino che gli parlasse in questa lingua: e quando noi vediamo tanto di frequente una donna francese inse­gnare in un paio d'anni ad una fanciulla inglese a par­lare e a leggere perfettamente, senza alcuna regola di grammatica o altra cosa del genere, ma unicamente chiacchierando con lei, io non posso far altro che mera­vigliarmi come i nobili abbiano trascurato questo sistema per i loro figli maschi, giudicandoli più ottusi e inca­paci delle figlie.