I tre libri dell'educazione cristiana (dispense)

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Corso: Bianchini - Storia della pedagogia e Pedagogia generale - 2015/2016
Libro: I tre libri dell'educazione cristiana (dispense)
Stampato da: Utente ospite
Data: venerdì, 22 novembre 2024, 05:19

Descrizione

I tre libri dell'educazione cristiana

Sommario

Capo IV.

 

Dell'obbligo de' Padri di allevare cristianamente

i loro figliuoli.

 

Molti certamente, e non leggeri sono gli obblighi e gli uffici di un padre di famiglia nella cura e reggimento famigliare, poiché egli in casa sua è qua­si un piccolo re, a cui si appartiene di conservare la pace e la tranquillità domestica, di mantenere la giustizia, e di provvedere al nutrimento ed alle altre cose necessarie al sostentamento de' suoi soggetti; ma tutto questo con varj riguardi e modi, secondo la varietà delle persone. Imperocché diversa deve essere la cura e l'autorità del padre di famiglia verso la propria moglie, altra verso de' figliuoli, ed altra per quanto si concerne ai domestici e servi. Or, come si è incominciato a dire molti e non lievi sono i sopraddetti uffici, nel governo della casa: ma senza alcun dubbio una delle maggiori e delle più gravi obbligazioni del padre di famiglia si è quella che a lui incombe verso de' figliuoli, cioè di educarli, e di allevarli bene e cristianamente nel timor santo di Dio: poiché l'allevarli soltanto per ciò che si risguarda il cor­po e la vita naturale, è a noi comune cogli animali [...]. Ma il proprio del cristiano e de' fedeli, consiste nell'allevare i figliuoli secondo ci addita la legge di Gesù Cristo, acciò vivendo essi, e morendo bene e santamente, sia­no in terra istrumenti di Dio per beneficio ed aiuto dell'umana società: e fi­nalmente sieno nel cielo eredi del regno di Dio, dalla cui grazia ed ajuto abbiamo e di ben vivere e di ben morire, per eternamente risorgere nella gloria sua, e nell'eterno godimento di lui medesimo. Pertanto non creda ta­luno di far piccolo fallo, mentre fosse negligente nell'ufficio di cui parliamo, non procurando con sollecitudine di allevar bene i suoi figliuoli: che anzi commetterebbe gravissimo peccato, ed offenderebbe in molte maniere se medesimo, i proprj figliuoli, la casa ed i discendenti suoi, il genere umano, i Santi del cielo, e finalmente il sommo Iddio [...].

Offende parimente, e fa grave ingiuria alla patria, alla quale era obbliga­to dare buoni ed utili cittadini, che sapessero, e volessero ajutarla in ogni bisogno; laddove o le lascia una generazione disutile e sciagurata, o, quel che è peggio, lascia uomini rei e perniciosi, che sono come tante facelle per accendere mille fuochi di discordia e di dissensione; e che di altro non go­dono che di perturbare, e distruggere col loro mal esempio, e con le pessime opere il buon ordine e la pubblica tranquillità [...]. Guai a quel padre che avrà mal custodito un deposito così prezioso datogli da Dio, quale lo è l'anima, del figliuolo, raccomandata alla sua cura sotto pericolo dell'eterna dannazione [...].

Capo VI.

Della negligenza che in molti si ravvisa

sulla Educazione cristiana.

Or dopo tanti vincoli di legge naturale, umana e divina, con i quali (come in parte si è dimostrato) ciascun padre è obbligato a fare ogni possibile dili­genza perché il figliuolo riesca buono e virtuoso, è pur cosa degna di gran­dissima meraviglia, e di cordoglio insieme, il vedere quanto oggidì sia co­munemente negletto questo importantissimo studio della Educazione cri­stiana, della quale da molti si conosce appena il nome. Io non nego che per grazia di Dio non si ritrovino in tutti i luoghi ed in tutti gli stati de' padri buoni e zelanti dell'onor santo di Dio e della salute de' figliuoli, che con sollecitudine attendano nell'allevarli nel timor di Dio, e nelle virtù, alla prudenza, e diligenza de' quali non si detrae per cosa che io dica, anzi in­tendo io di dar loro sempre grandissima lode. Ma il numero di questi, è troppo minore di quello che si converrebbe nel popolo santo, a cui, come il Profeta dice ha Iddio manifestato i giudizj e la volontà sua [...].

Capo VII.

 

Come le grandi calamità de ' nostri tempi, anche in rapporto alla religione

ab­biano in gran parte origine dalla cattiva educazione.

 

[...] A me pare che le molte calamità dalle quali vediamo agitato il mondo in questi ultimi tempi, ed in questa, per così chiamarla, decrepita età del mondo, abbiano in gran parte origine dalla cattiva educazione de' figliuoli: perciocché, siccome gli uomini non si formano se non dopo essere stati fan­ciulli e giovani, così ordinariamente parlando, gli uomini buoni ed i cattivi non si fanno se non dei buoni e dei cattivi fanciulli, e dei giovani. Quindi avviene che essendo stato alcuno negli anni più teneri mal disciplinato, ed allevato senza il timor di Dio, ed essendosi accostumato a non ubbidire al padre ed alla madre, ma a fare la propria sua volontà, ed amare disordina­tamente se stesso, allargo il freno alle carnalità, all'appetito smoderato della roba, ed all'ambizione, va poi tant'oltre, crescendo cogli anni, il mal abito ancora; e per sì fatto modo colla robustezza del corpo si corrobora insieme il vizio in un cuore, che non temendo ormai più né uomini né Dio; ed essendo l'uso continuato, ed il mal abito nel peccare, a cui non si vuoi far resistenza, divenuto quasi natura e necessità, corre finalmente senza ritegno alcuno a precipitarsi nel profondo di tutte le abbommazioni, e delle scelleraggini. Di questi tali, come d'istrumenti preparati ad ogni iniquità, fabbrica poi il dia­volo non solamente i sediziosi, ed i perturbatori della pubblica tranquillità, i rivolgitori delle città e dei regni, ma altresì gli eretici e gli eresiarchi [...]. In questo modo sono nate le divisioni, e sono insorte le eresie nella Santa Chiesa [...].

In somma non si perviene facilmente a sì grande estremo di peccato, com'è il separarsi dalla Santa Chiesa cattolica ed apostolica, se non dopo una lunga abitudine di peccare; e questo avviene con molti atti, e lungo se­guito di tempo, incominciando a poco a poco, sino dall'età più verde, nella quale se non si svellono le prime radici del vizio, diviene il senso tanto pos­sente, che la forza della smoderata passione accieca per così dire l'intelletto; e quindi pervengono gli uomini a tanto furore ed orribile cecità, che non contenti di peccare, vogliono altresì che il loro peccato sia reputato virtù; e le impurissime libidini, e mille altre scelleraggini siano adorate per cose sante [...].

Capo XI

Che non è stato superfluo lo scrivere la presente Opera


Niuno, credo io che si ponga a ben ponderare le cose sin qui esposte, ne­gherà che il ben allevare i figliuoli non sia cosa importantissima e per i pubblici, e per i privati interessi; ma forse vi sarà taluno che riputerà essere stata fatica superflua lo scrivere la presente Opera. Dirà taluno che anche ne' libri degli antichi filosofi, sì greci che latini, e degli stessi poeti vi sono sparsi precetti sufficienti per il governo di ciascheduna età; e che non man­cano autori i quali non solamente per incidenza, ma di proposito hanno trattato della educazione; e fra gli altri, non è ancora gran tempo, esservi stato uomo di eccellente ingegno e dottrina fornito, il quale in lingua fioren­tina scrisse un piacevole libriccino circa la buona creanza de' fanciulli: lo che quantunque io consenta essere vero, ho pensato nondimeno restare an­cora assai largo campo per scrivere utilmente su di questo argomento. Ho pertanto creduto esser opera degna di pregio il tentare quello che far si po­tesse, tanto più che il modo, che io sono per tenere, sarà, se io non mi inganno, assai diverso da quello seguito da molti altri. Conciossiaché il fine di quest'opera non sarà già di scrivere semplicemente sull'Educazione politica, in quanto essa riguarda la felicità umana, considerata dai filosofi, ma sarà piuttosto quello di scrivere sull'Educazione cristiana, la quale è ordinata, e diretta alla somma felicità celeste [...]. E benché negli antichi Padri, chiari per dottrina, e per santità, si leggano molte cose notabili di simigliante ma­teria, nondimeno sono queste sparse, e quasi nascoste in varj luoghi, che non essendo ridotte insieme sotto certo e distinto ordine, non se ne viene a raccorre tutto quel giovamento che converrebbe [...].

Capo XXXV

Della particolar cura nel formare il corpo de' fanciulli


Nel principio dell'infanzia non par quasi che si possa attendere ad altro che a formar bene il corpo del fanciullo; il quale studio, sebbene da lontano, e come disposizione rimota appartiene nondimeno alla educazione; percioc­ché il corpo è istrumento dell'anima; e quanto è meglio disposto in tutte le sue parti, tanto più speditamente può servire all'anima [...]. E per continuare il filo di questa materia, che riguarda la buona formazione del corpo, dico che questa cura e diligenza deve continuarsi per buon spazio di tempo, sino a che le membra del bambino sieno ben ferme, e consolidate [...]

Capo XXXVII

Quando incominci la cura dell'educazione
riguardo ai costumi


Taluno forse dimanderà in qual tempo incominciar si debba la cura dell'educazione, intesa propriamente per quella diligenza che si deve usare per introdurre pian piano negli animi teneri de' fanciulli i semi della virtù, eccitando, e nutrendo quelli che la natura vi ha inseriti; e chiudendo per lo contrario la porta di buon'ora ai vizi che possono venir fuori, correggendo le male inclinazioni naturali, e cercando di subordinare l'appetito dei sensi all'obbedienza, siccome egli è capace per natura all'imperio della ragione, e non farsene signore e tiranno. E sebbene alcuno per avventura potrebbe dire che per far questo si richiede qualche uso di ragione del fanciullo, il quale, essendo nei primi anni poco diverso da un bruto, non può quindi essere ca­pace di disciplina, come quello che non intende né bene né male; nondime­no io, in quanto a me sono di parere, che molto per tempo si debba dare incominciamento a questa cura, non aspettando l'uso della ragione. Imperoc­ché non è necessario che i fanciullini facciano alcune cose, e che si asten­gano da talune altre, perché intendano quello che convenga seguire, o fuggi­re; ma basta che si avvezzino a così farle, o non farle, acciò da leggieri principii, con alcuni piccoli atti, per quanto quella tenera età comporta, si introduca il buon abito, od almeno una certa naturale disposizione [...].

E per discendere più al particolare dico, che come prima incomincia il fanciullino, già alquanto sciolto dai legami delle fascie, non solo col pianto, ma con le mani, e con i moti del corpo a fare un certo sforzo per voler espri­mere gli affetti dell'animo, già, se io non mi inganno, può avere in allora luogo alcuna diligenza della savia ed avveduta nutrice; la qual diligenza va­da poi tuttavia crescendo di tempo in tempo [...]. Per il che penso dover es­sere se non utile avvertimento quello, che si dia incominciamento alla buona educazione quanto più per tempo si può, incominciando prima dalle cose piccole e continuando poi proporzionatamente alle maggiori di tempo in tempo con maggior sollecitudine e vigilanza, ricordandosi sempre che il con­durre un fanciullo a tale stato, e perfezione che sia uomo dabbene e buon cristiano, non è sì facile impresa come altrui si pensa, anzi non è meno pe­nosa, che importante [...].

Capo XLV

A chi si appartenga l'educazione dei figliuoli, al padre od alla madre.

Non è forse fuori di proposito il ricercare a chi si appartenga, od almeno a chi più principalmente si spetti la cura di educare i figliuoli, al padre op­pure alla madre, acciò non avvenga, come spesse volte suole accadere delle cose che sono raccomandate a più persone, che l'uno riguarda l'altro, e sic­come per ordinario si schiva la fatica, e se ne lascia volentieri la maggior parte al compagno, indi ne segue che quella cosa, che comunemente doveva esser governata rimane poi comunemente negletta. Ma s'è vero quello che lungamente abbiamo trattato di sopra dell'unione del marito e della moglie, e come sono essi non più due, ma una sola carne, certamente quel comune difetto che nelle cose suol avvenire, non dovrà aver luogo in loro nel governo dei figliuoli, i quali sono l'effetto di ambedue, e tutto il frutto ed il contento che derivano dalla buona educazione, debbono quindi esser loro comuni.

Debbono adunque essi unitamente procurare di allevar bene i loro fi­gliuoli, onde vediamo che l'apostolo san Paolo, tanto al padre come alla ma­dre attribuisce l'obbligo dell'educazione [...]. Possiamo adunque conchiu­dere che l'educazione de' figliuoli è comune al padre ed alla madre, i quali se in tutte le cose del governo domestico debbono essere concordi, in que­sta, poiché è la più importante di tutte, lo debbono essere tanto maggior­mente. E per altro ben vero che la diversità del sesso, e dell'età ci addita appartenersi qualche maggior cura più all'uno che all'altro; perciocché ge­neralmente parlando, la cura delle figliuole, per ragione del sesso, maggiormente alla madre si appartiene. E perché l'ufficio dell'uomo è di stare al­quanto tempo fuori di casa, sì per procacciare il vivere per la famiglia, come egli è obbligato, sì per governare e trafficare le sostanze che sono fuori, sì per il commercio che deve avere con gli altri cittadini; laddove la donna de­ve starsi sempre in casa, se non quando un'onesta e necessaria cagione la conduca fuori [...]. Pertanto nell'infanzia, e nella prima fanciullezza maggio­re cura della educazione dovrà appartenere alla madre, siccome all'incontro questo fanciullo sarà divenuto già grandicello e più capace di precetti più maturi, ed atto ad uscire più spesso fuori di casa, sarà più l'ufficio del padre l'istruire ed il sorvegliare sopra il figliuolo [...].

LIBRO SECONDO

 

Capo I

Che i fanciulli debbono essere ammaestrati

nelle cose della Santa Fede

[...] Nel santo battesimo abbiamo avuto il dono della santa fede, della quale abbiamo fatta aperta e solenne professione al cospetto di Dio, degli angioli, e degli uomini; e quindi siamo chiamati fedeli, e per la conserva­zione di questa santa fede (la quale come si è detto è dono di Dio, ed è prin­cipio, e fondamento della nostra salvazione, e senza la quale è impossibile piacere a Dio), dobbiamo esser pronti ad esporre non solo la roba, ma la vita istessa ad ogni pericolo, e confidati nella divina grazia morire, se così fosse d'uopo, anche con ogni acerbità di dolori, come lo hanno già fatto al tempo della primitiva chiesa tanti e tanti gloriosi e fortissimi santi martiri. Quindi è cosa degna di riprensione, e di compassione insieme il vedere quanta poca cognizione vi sia generalmente parlando, nel popolo cristiano, dei misteri della nostra santa fede, i quali, bene intesi, hanno grandissima forza di in­fiammare i nostri cuori dell'amore di Dio, e di risvegliarci dal letargo del peccato [...]. E benché sia vero che la moltitudine non sia obbligata sapere così sottilmente molte cose della nostra santa fede, le quali si appartengono più a coloro che nel popolo di Dio tengono il luogo di maestri, come sono i chierici, ed i pastori; nondimeno ancora i semplici e gli idioti sono obbligati a sapere almeno sommariamente i misteri principali della nostra Cattolica Religione. Come per esempio, che Dio è trino in persone, ed uno in essenza; che la seconda persona, Verbo eterno, unigenito figliuolo del celeste Padre si è incarnato e si è fatto uomo, e che ha sofferto la morte per la nostra salu­te, e altri simili: altrimenti guai a chi per sua colpa fosse ignorante in cose di tanta importanza [...].

Capo II

Delle scuole della Dottrina Cristiana e della Predicazione.


Ma pochi sono i padri che adempiano a questa obbligazione, e pochi sono quelli che la possano adempiere come si converrebbe, non potendo instruire altrui di quello che per se stessi non sanno. Perciò il Santo Concilio di Trento, mosso a compassione di questa universale ignoranza nel popolo fe­dele, ha ordinato che i vescovi si prendano parti colar cura che i putti in cia­scuna parrocchia, ne' giorni festivi si riuniscano; e quivi s'insegnino loro i rudimenti della fede, cioè le cose più principali, e le più necessarie della dottrina cristiana, almeno in generale; e così parimenti s'insegni loro con diligenza come debbano servare obbedienza verso Dio, e verso i loro padri, col quale ordine il Santo Concilio ha supplito in parte alla comune mancan­za di educazione. Perciò quei padri che non sanno quello che ciascun cri­stiano è obbligato a sapere, vadano a queste sante scuole, dove per autorità dei vescovi, e dei legittimi pastori s'insegna la dottrina cristiana, e la imparino per se medesimi, per poterla anche insegnare come si conviene ai loro figliuoli, e specialmente alle figliuole, il sesso e l'onestà delle quali talora meno comportano che la apprendano fuori di casa; sebbene ancora a loro la provvidenza pastorale non manchi di decentemente provvedere. Ma se i pa­dri non adempiranno l'obbligo che loro incombe d'instruire i figliuoli, e nemmeno li condurranno, e li manderanno a quei luoghi ove possano essere instrutti, sappiano che non avranno scusa alcuna; e se i figliuoli non sapran­no che cosa voglia dire esser cristiano, e non conosceranno né temeranno Iddio, essi non isfuggiranno il giusto e meritato castigo, né tralascierà Iddio di ricercare da essi stretto conto del loro sangue. Lo stesso sagro Concilio generale ha ordinato che il pane della parola di Dio, che è il nutrimento dell'anima, sia spezzato, e somministrato ai parvoli, cioè al popolo semplice ed ignorante; e perciò ha stabilito e decretato che non solo i vescovi, ma i piovani e gli altri pastori delle anime predichino ne' giorni delle domeniche, ed in altri giorni festivi, pascendo le pecorelle loro secondo che elleno sono capaci di santi e utili ammaestramenti, insegnando loro quelle cose che sono a ciascuno necessarie di sapere per conseguire l'eterna salute, esponendo con facilità e chiarezza i vizi dai quali debbono guardarsi, e le virtù che de­vono seguire, acciò possano scampare dalle pene eterne, e conseguire final­mente la celeste gloria. Or come il sagro Concilio ha provveduto che i pa­stori, ed i predicatori facciano lo ufficio loro, così all'incontro vuole ed ordi­na che il popolo vada ad udire la parola di Dio, altrimenti vano sarebbe il preparare la mensa, ove non v'è chi voglia cibarsi. E pertanto sappiano i pa­dri di famiglia che sono grandemente obbligati di andare alle sante predica­zioni, e di udire il più spesso che possono la parola di Dio, e condurvi i figliuoli acciò per l’efficacia della viva voce che tiene il luogo di Dio imparino e si accendano di desiderio di fuggire il peccato e di servire Iddio […]

Capo XLV

Se tutti i fanciulli debbano, o no, apprendere le lettere


[...] Non v'ha dubbio che la comunità civile per conservarsi ha bisogno di molte sorta d'uomini, che facciano diversi esercizj, come sono i contadini, gli artigiani, i mercatanti, e molti altri; mentre non tutti possono, né debbono essere letterati, sebbene di questi ancora vi fa bisogno; mi sembra peraltro, che sarebbe cosa utile, e lodevole che i fanciulli di qualsivoglia condizione, eziandio molto umile, apprendessero almeno queste tre cose, cioè il leggere, lo scrivere, e l'arimmetica; sì perché imparandosi questi rudimenti con non molta fatica, almeno mediocremente, servono poi in tutto il corso della vita a molti usi; sì ancora perché in questa prima età per la debolezza del corpo non si può quasi far altro; e si viene con tale studio a dare un'utile occupa­zione alla fanciullezza, e si procurano altri buoni effetti circa l'educazione, andando il fanciullo alla scuola: come dalle cose dette di sopra si può ben rilevare; anzi crederei essere spediente che quei figliuoli che debbono atten­dere alla mercatura, ed a certe arti maggiori, fossero introdotti nella gram­matica, ed avessero qualche intelligenza del parlar latino; poiché è questo uno studio che può giovare spesse volte nel commercio con le nazioni stra­niere, ed in molte altre circostanze. Quanto poi ai figliuoli de' nobili e dei ricchi, non v'ha dubbio che sta molto bene che si avanzino nello studio delle belle lettere, e che apprendano a parlare ed a scrivere bene latino [...].

Capo XLVI

Se alle figliuole si debba, o no, fare apprendere le lettere


Quanto poi alle figliuole a me sembra che, generalmente parlando, si abbia con esse a procedere del tutto diversamente; e quanto a quelle di umile e povero stato converrebbe che sapessero alquanto leggere qualche libro di preci; e quelle di mezzana condizione anche un poco scrivere: le giovani poi nobili, che sono per lo più destinate a divenire madri di famiglie cospi­cue, sarebbe ad ogni modo necessario che, oltre il sapere ben leggere e scri­vere, fossero altresì versate nei primi rudimenti ed operazioni dell'arimmetica. Ma che poi, insieme con i figliuoli, e sotto la disciplina dei medesimi mae­stri, imparino le lingue, e sappiano perorare e poetare, io, in quanto a me, non lo approvo, né so scorgere quale utilità ne possa risultare al bene pub­blico, né al particolare, delle medesime fanciulle; anzi io temo che, essendo il sesso femminile per sua natura vano, non ne divenga tanto più altiero [...]. Perciò il buon padre di famiglia si contenti che la sua figliuola sappia recita­re l'Ufficio della Santissima Vergine, e leggere le vite de' Santi, ed alcun li­bro spirituale, e nel rimanente attenda a filare, e cucire, e ad occuparsi negli altri esercizj donneschi, per i quali vediamo che la Santa Scrittura commen­da la donna virile e forte, nella cui diligenza, e sollicitudine, e buon governo delle cose domestiche si riposa il cuore del suo marito [...]. Conchiudo per­tanto questa parte, non negando che ogni regola possa talora patire qualche eccezione; e dico però che il miglior consiglio, comunemente parlando, si è quello che le donne sieno contente degli ufficj proprj del sesso muliebre, e che lascino agli uomini quelli del sesso virile [...].

Capo LXII

Della necessità che si ha degli agricoltori, e degli artigiani


Si è detto di sopra che la città è a guisa di un corpo, composto di varie membra più o meno nobili: e che ciascuno fa l'ufficio suo pacificamente senza discrepanza, né dissensione alcuna; e quindi il corpo si mantiene in vita, e fa le sue operazioni bene e felicemente. Non altrimenti che per la conservazione della città sono necessarj non solo i magistrati, ed i ministri del governo pubblico, ma ancora gli agricoltori, ed il pastori di armenti, e delle greggie, ed i pescatori, ed altri simili che preparino per loro stessi, e per tutti gli altri cittadini parte dei frutti della terra, parte degli animali, e varie sorta di cibi, e di nutrimenti, senza i quali non si può vivere; oltre che la cura degli animali, eziandio per altri usi è necessaria, come si è per il vestire, e per molte altre bisogna dell'umana vita; così parimenti sono ne­cessarj gli artefici di molte e diverse arti, alcuni de' quali fabbricano gli strumenti per i diversi mestieri, altri lavorano le vesti, altri edificano le case ed alcuni preparano i nutrimenti, che somministrano gli agricoltori, ed i pa­stori per la conservazione dell'uomo; altri finalmente esercitano altri ufficj, che sarebbe cosa lunghissima a voler dire, e non necessaria al nostro pro­posito. Tanto basta per provare che le arti che si chiamano meccaniche, sono anche esse necessarie per poter vivere naturalmente, e civilmente, e per di­fenderci dalle ingiurie e del cielo, e delle fiere, e di quegli uomini ancora, che sono violenti, e che hanno del bestiale. Or se cosi è, egli è ancora vero essere necessario che i padri di famiglia somministrino alla città uomini atti a quegli esercizj quantunque siano riputati bassi e vili; poiché nel grado loro debbono anche questi concorrere alla conservazione ed al mantenimento della città, non meno di quelli che si reputano nobili, e che sono comune­mente esercitati da persone di più alta condizione, e forniti di più sublime ingegno.

Capo LXIII

Che i poveri non debbono rattristarsi della loro condizione

Pertanto i poveri debbono star contenti della condizione loro, e non in­vidiare i ricchi; poiché come San Gregorio Nazianzeno, dottor gravissimo, ed altri padri dicono, a chi vuoi ben considerare nelle cose di questa vita, la condizione dei poveri è migliore di quella dei ricchi. Imperciocché delle co­se più eccellenti della natura, come lo è della luce del sole, della respirazio­ne, e della salubrità dell'aria, e della vita, e della sanità, della robustezza, e di altre cose tali godono non meno, anzi molto più i poveri, che i ricchi; ma quello che più importa, i doni celesti della grazia di Dio, presso al quale non vi ha accettazione di persone, sono comuni a tutti; né altrimenti è battezzato il ricco, che il povero; né meno è adottato da Dio per suo figliuolo, ed erede del paradiso il povero, che il ricco; anzi dicono i Santi che la povertà è uno strumento valevolissimo per l'acquisto della virtù, ed in conseguenza per l'eterna beatitudine [...].