Introduzione
Verso la pedagogia come scienza autonoma
Tra la fine del XVIII e linizio del XIX secolo la riflessione moderna sui problemi delleducazione e dellistruzione entrò in una fase molto significativa della sua storia. Sullonda della programmatica revisione critica del sapere tradizionale, che rappresenta una delle principali istanze dellIlluminismo, fecero infatti la loro comparsa i primi tentativi di delineare, in modo il più possibile organico, vere e proprie teorie delleducazione, che potessero valere come fondamenta di ogni ulteriore indagine o innovazione.
Sullonda della programmatica revisione critica del sapere tradizionale, che costituiva una delle principali istanze dellIlluminismo, fecero la loro comparsa, fra gli intellettuali e i pensatori del tempo, i primi tentativi di delineare, nel modo più organico possibile, vere e proprie teorie delleducazione, che sapessero portare ad unità la nuova sensibilità maturata nel corso del Seicento e del Settecento, e potessero di conseguenza valere anche come legittime basi per ulteriori indagini e innovazioni auspicate da più parti, nel campo sia dellorganizzazione scolastica in senso stretto, sia della crescente rilevanza sociale attribuita al sapere e allistruzione.
Nella sfera propriamente culturale giunse ad un primo momento di relativa sintesi il processo che Umanesimo e Rinascimento avevano avviato, ponendo al centro dellattenzione lattività umana nei suoi diversi ambiti e nelle sue peculiari metodologie. Da tale processo, che aveva toccato il suo momento più significativo nel passaggio fra il XVII e il XVIII secolo momento definito dallo storico Paul Hazard di crisi della coscienza europea, a motivo dello spartiacque che esso finì per segnare tra la concezione medievale del mondo e quella moderna erano scaturite anzitutto le analisi dei dinamismi propri delle relazioni politiche e del governo dello Stato; poi, a seguito dei conflitti di natura anche confessionale, la revisione delle fondamenta del diritto e delle relazioni internazionali; quindi la distinzione fra conoscenza della natura e sapere teologico, contestualmente alla rivoluzione copernicana e alla fondazione galileiana della scienza moderna.
Non secondaria fu, inoltre, la secolarizzazione della cultura, che aveva trovato nella rivendicazione dellautonomia della ragione dalla religione e da ogni forma di tradizione o di Rivelazione il suo motivo ispiratore e il suo principale criterio metodologico. Lo dimostrano, in particolare, il successo, fra i ceti colti dellEuropa, del deismo, della filantropia e delle società segrete, le vicende che accompagnarono lideazione e la contrastata pubblicazione, nellarco di oltre ventanni (1751-1772), della grande Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri.
La riflessione sui fenomeni educativi e sulla formazione intellettuale, morale e più in generale civile delluomo non poteva ovviamente restare estranea a tale atmosfera e alle sue istanze generatrici. Da scienza del metodo più adatto a formare gli uomini destinati alla carriera ecclesiastica o alla leadership politica e sociale, perciò, già con Rousseau e poi con sempre maggiore chiarezza verso la fine del Settecento, la pedagogia prese anchessa a concepirsi e a svilupparsi come autonoma riflessione sulla natura, sul dinamismo e sui fini intrinseci delleducazione.
Si tratta di un processo che giungerà a piena maturazione solo nel Novecento, e che alla fine dellAntico Regime mosse i primi passi, imboccando lo vedremo subito due principali direzioni.
Da un lato, fu aperta la strada allinsostituibile riflessione di Kant e Herbart. Il filosofo della Critica della ragion pura si mosse nel solco dellantropologia tipicamente moderna, sulla base dei princìpi filosofici stabiliti dal razionalismo cartesiano e dallempirismo inglese, non senza esporsi, però, agli esiti problematici connessi con i presupposti ontologici e metafisici di tali concezioni. Quanto a Herbart, il proposito fu quello di tentare, per la prima volta, la fondazione della pedagogia come disciplina autonoma, vale a dire come scienza dei processi formativi: legittimamente dotata, quindi, di uno specifico (e tendenzialmente specialistico) campo dindagine, oltre che di una sua propria e caratteristica metodologia, distinta da quella di ogni altra (e concorrente) indagine.
Dallaltro lato, una rinnovata conoscenza dellinfanzia impresse una forte svolta nellindividuazione di nuove finalità educative. La scoperta dellinfanzia come età primordiale delluomo introdusse motivi di novità sia nella razionalizzazione dei sistemi e dei metodi educativi, sia in rapporto alla specializzazione e professionalizzazione delle pratiche educative e di insegnamento, specie a partire dalle forme educative più elementari, destinate ai bambini più piccoli.
Si cominciò a ritenere che il fine delleducazione non dovesse essere solo la rigida e stereotipata formazione delluomo adulto, ma la libera maturazione del fanciullo secondo i ritmi imposti dalla natura, in modo da rendere il più felice possibile questa condizione di innocenza e di spontaneità.
In ragione della complessità e dellintreccio di tali istanze, qui solo brevemente richiamate (ciascuna richiederebbe una trattazione a sé, che in questa sede non è ovviamente possibile), si comprende perché, negli scritti degli autori di questo periodo, il tradizionale impianto trattatistico si componga - in misura e con equilibrio variabile con pagine e sezioni di taglio invece più spiccatamente descrittivo, narrativo e (talvolta anche aspramente) polemico.
Per lo stesso motivo ricorre costantemente in questi testi, fino al punto in qualche caso da appesantirne la lettura, la sollecitudine per lexplicatio terminorum, per la definizione la più esatta possibile dei termini utilizzati, allo scopo di circoscrivere nella maniera più chiara ed inequivocabile lambito di realtà e i processi che si vogliono indagare. Ad ogni modo, nel passaggio fra Sette e Ottocento, listanza propriamente teoretica di conseguire una visione dinsieme e, se possibile, anche fondativa del fenomeno educativo imboccò come via maestra lintenzionalità e i procedimenti ideativi e concettuali tipici della filosofia.
Nello stesso tempo, tra la fine del XVIII e linizio del XIX secolo il problema delleducazione popolare assunse un ruolo centrale sia a livello politico-sociale, sia a livello pedagogico-culturale, ma anche di rottura con la tradizione religioso-caritativa del XVI e XVII secolo.
Il dibattito e il confronto sulleducazione del popolo non fu privo di ambiguità e di strumentalizzazioni politico-ideologiche ed economiche. Le idee degli illuministi europei posero, certamente, le basi culturali e politiche per lo sviluppo dellistruzione popolare, ma le loro posizioni sullopportunità e/o sulle finalità di far accedere anche i ceti popolari alla cultura furono spesso ambigue ed incoerenti.
La cultura dei Lumi poggiava, infatti, sulla convinzione che tutti gli uomini fossero dotati per natura dellunico strumento cognitivo in grado non solo di fare loro conoscere il mondo, ma anche di scegliere coscientemente ciò che era buono e conveniente: la ragione. Lintelletto andava esercitato, abituato alluso critico, in modo che lindividuo fosse pronto a partecipare attivamente allopinione pubblica, unico antidoto al potere assolutistico. Sapere aude! tuonava Kant in apertura di Was ist Aüfklarung, quando sosteneva che lIlluminismo rappresentava luscita delluomo da quello stato di minorità imputabile a se stesso. Luso consapevole delle proprie facoltà intellettive dipendeva, quindi, dalluomo, e lo Stato era chiamato a offrire a tutti i suoi membri la possibilità di imparare a utilizzarle.
In molti esponenti dellilluminismo era, però, vivo il pregiudizio e il timore nei confronti di eventuali velleità di ascesa sociale, considerata una pericolosa diserzione dal proprio stato naturale, che potevano sorgere nella coscienza di operai e contadini, una volta istruiti. Esisteva anche la convinzione che lo stato delle cose poteva essere mutato solo gradualmente, favorendo le riforme dallalto, piuttosto che con rivoluzioni o poco realistiche richieste dal basso.
Per questo motivo il potere politico veniva invitato a procedere con cautela nella diffusione dellistruzione anche al popolo, per evitare traumatiche rotture degli assetti sociali precostituiti.
Nel suo Essai sur les études en Russie, Denis Diderot sosteneva che un contadino che sa leggere e scrivere può essere oppresso più difficilmente di un altro, e per questo invitava i legislatori a fare in modo che la professione sia abbastanza tranquilla e stimata da non essere abbandonata. Nello stesso tempo, Charles de Montesquieu auspicava che leducazione e linnalzamento culturale della plebe fossero moderati e controllati dallautorità morale delle leggi e dei governanti, anche se dichiarava che lunica forma di controllo e di limitazione nei confronti del potere era proprio un popolo istruito e informato. Non a caso, portando alle estreme conseguenze le riflessioni del philosophe francese, Filangieri sarebbe arrivato a prescrivere listruzione obbligatoria e gratuita per tutti.
In altri ambiti della cultura illuministica il valore dellistruzione popolare era più esplicitamente stimato. Dagli economisti Anne Robert Turgot (controllore generale delle finanze in Francia) e Adam Smith o dai ministri dei sovrani illuminati, come laustriaco Wenzel Kaunitz, la diffusione dellistruzione elementare era guardata senza sospetti e anzi giudicata un mezzo efficace per garantire lordine sociale e contemporaneamente accrescere la qualità e la quantità della produzione nazionale.
Nella fondamentale opera di politica economica, La ricchezza delle nazioni (1776), ad esempio, Smith, mentre sosteneva la più ampia libertà individuale nelleducazione dei ceti alti e medi, riteneva necessario lintervento del potere pubblico per facilitare, incoraggiare ed anche rendere obbligatori per tutto il popolo questi elementi essenziali delleducazione, cioè leggere, scrivere, far di conto, oltre agli elementi di geometria e di meccanica.
Oltre a un più o meno consapevole interesse economico e produttivo, agiva sugli esponenti dellassolutismo illuminato (Maria Teresa e Giuseppe II in Austria, Federico II in Prussia, Vittorio Amedeo II in Piemonte e in altri più o meno importanti stati europei) anche la finalità politico-ideologica di impronta giurisdizionalista volta a ridimensionare se non a sottrarre del tutto alla Chiesa il monopolio della formazione non solo della classe dirigente, ma anche degli stessi ceti popolari.
Di fatto, nel corso del nel Settecento, presero piede, grazie alla pubblicistica e allabilità letteraria degli illuministi, modelli culturali alternativi a quelli tradizionali, che diedero vita a differenti modelli esistenziali e anche a diversi stili educativi. La dicotomia tra Illuministi e mondo cattolico diede vita a un confronto che, anche in ambito educativo, sarebbe proseguito per buona parte dellOttocento. Lilluminismo proponeva, infatti, una visione del mondo più laica, quando non antireligiosa, opposta a quella della Chiesa. In campo pedagogico, quindi, si apriva il campo sia alla ragione, sia ai sentimenti, sia allintuizione, mentre perse importanza la fede, che restò, invece, al centro, del modello educativo e cognitivo cattolico.
La politica istituzionale dei sovrani assoluti del XVIII secolo, sopprimendo o rendendo marginale il ruolo sociale, culturale ed educativo dei corpi intermedi della società e in particolare delle istituzioni religiose, mirava a creare un rapporto diretto, non mediato tra sovrano e sudditi. Un rapporto asimmetrico e totalizzante, per cui il giovane suddito avrebbe dovuto ricevere uneducazione funzionale alle direttive dello Stato, in pratica del sovrano e non più della Chiesa
La diffusione dellistruzione popolare per la formazione del carattere nazionale e per rafforzare il senso di appartenenza allo Stato anche tra i ceti popolari divenne nella seconda metà del XVIII secolo una delle idee-forza dellIlluminismo riformatore.
Il processo di laicizzazione e la politicizzazione delleducazione popolare, iniziati con le riforme scolastiche dellassolutismo illuminato, trovò la più radicale attuazione con le riforme e la messa a punto di nuovi modelli scolastici ed educativi da parte degli esponenti della rivoluzione francese (Talleyrand, Condorcet, Le Peletier, Lakanal) e dei loro seguaci nel resto dEuropa.
Rifacendosi al modello pedagogico di Platone e allistruzione delle repubbliche delletà classica, ripresi più recentemente da pensatori come Filangieri, leducazione delle masse assunse in età rivoluzionaria funzioni e finalità prevalentemente politiche, di formazione ideologica delle masse.
Modello che con le successive riforme napoleoniche accentuò, anche a livello di istruzione popolare, le caratteristiche di centralismo amministrativo-istituzionale, di omogeneizzazione ideologico-culturale e di controllo e mantenimento degli assetti e delle stratificazioni sociali. Tuttavia, allatto pratico, molte delle enunciazioni di principio finirono per restare sulla carta per diverse ragioni: in primo luogo la capillare presenza religiosa sul territorio, la precedenza assegnata al controllo della formazione dei ceti dirigenti, il riconoscimento del ruolo svolto da alcune congregazioni che neppure Napoleone riuscì a contrastare, come i Fratelli delle Scuole Cristiane e le suore Orsoline.
I delicati e precari equilibri
tra Stato, Chiesa e società nati dopo il Congresso di Vienna, con
Gli Stati europei usciti dal
Congresso di Vienna non poterono non confrontarsi con i programmi e le
sperimentazioni, per quanto incompiute, della Rivoluzione e dellimpero
napoleonico. Essi furono così chiamati a mettere mano al sistema formativo: vi
fu chi, come
Non a caso, nonostante la grande fama di cui godette, il metodo del mutuo insegnamento, sperimentato dagli inglesi Bell e Lancaster per favorire listruzione tra pari, venne raramente incentivato dalle autorità, venendo così relegato alliniziativa privata. Fu preferito ancora una volta il modello austriaco, incentrato sulla diffusione della scolarizzazione e la sperimentazione di metodi didattici innovativi (da ricordarsi soprattutto quelli di Joseph Peitl e di Eduard Milde), sotto il diretto controllo dello Stato.
Già a partire dal periodo napoleonico, la borghesia imprenditoriale aveva iniziato a prendere progressivamente coscienza del valore economico e sociale delleducazione popolare, oltre che di quello politico. La stesse chiese cristiane, in particolare quella cattolica, grazie alliniziativa dei numerosi nuovi ordini religiosi nati dopo la temperie rivoluzionaria e napoleonica, ritennero indispensabile accompagnare il processo di ricristianizzazione delle masse per contenere e sconfiggere la mentalità rivoluzionaria che aveva sconvolto lEuropa nel passaggio tra i due secoli, rilanciando la loro presenza attraverso la scuola e varie iniziative in campo educativo.
Accanto alle nuove strategie istituzionali, politiche, sociali ed economiche, linfanzia e ladolescenza divennero aggetto di particolare attenzione sia da parte della famiglia, sia da parte del sistema scolastico, in quanto le speranze di successo individuale e di progresso della società dipendevano dallefficienza e dallefficacia dei processi formativi.
La rivalutazione della personalità del fanciullo trovò ampio sviluppo allinterno della cultura e della pedagogia romantica. Come si è già accennato nel capitolo precedente, linfanzia venne in taluni casi idealizzata e quasi sacralizzata come una realtà perfetta inserita in un mondo ricco di sentimenti.
Emersero i primi doveri del mondo adulto nei confronti dellinfanzia: il dovere del rispetto, della tutela, dellassistenza, dellaffetto e delleducazione fin dalla più tenera età. La famiglia continuò ad essere ritenuta la prima e fondamentale esperienza educativa. In particolare, il ruolo della madre fu considerato, a partire da Rousseau, di primaria importanza per la crescita e leducazione dei figli, basata non solo sulla dimensione fisica, intellettuale e morale, ma anche (e qui si poteva cogliere linfluenza della cultura romantica) su quella affettiva. Leducazione venne concepita come un valore universale, un dovere della società verso tutti i minori, con una finalità di rigenerazione morale di tutta lumanità.
Allinterno di questo contesto si collocano le esperienze e i modelli educativi delle correnti filantropiche e religiose del primo 800 che affrontarono in particolare i problemi sia socio-assistenziali, sia culturali, morali e educativi, delle componenti più deboli e più a rischio dellinfanzia, in un periodo che accanto al progresso scientifico, economico e sociale, vide sorgere i limiti della civiltà industriale nellurbanizzazione forzata, nello sfruttamento del lavoro minorile, nelle nuove forme di povertà materiale e spirituale, nel moltiplicarsi delle malattie sociali.
Dalle esperienze concrete di Johann Heinrich Pestalozzi con i ragazzi abbandonati della Svizzera post-napoleonica, da quelle con i bambini più piccoli di Robert Owen, di Ferrante Aporti e di Friedrich Fröbel, da quelle del sacerdote torinese Giovanni Bosco con gli adolescenti che oggi diremmo a rischio solo per citare alcune delle più celebri nacquero non solo nuovi modelli assistenziali, educativi, pedagogici, ma anche una nuova consapevolezza della realtà e dei bisogni del mondo dei minori.