Introduzione
1. Dallumanesimo educativo alla scoperta della didattica
Quanto alla
scuola e alla sua utilità sociale non si possono certamente ignorare
alcuni grandi cambiamenti avvenuti prima
del 400. Tra il XIII e il XIV secolo sorsero le prime Università a Parigi,
Bologna, Padova), aumentarono le scuole per rispondere ai bisogni pratici dei
mercanti, e i comuni sia
in Italia, sia nel nord dellEuropa cominciarono a trasferire il
controllo delle scuole dalle mani del clero a quelle dei laici. Sebbene
lesistenza di scuole municipali e di insegnamenti laici costituisse un
cambiamento notevole, restavano tuttavia praticamente immutate le prassi
didattiche e i contenuti dellinsegnamento. Per assistere alla comparsa e alla diffusione di modelli
educativi e scolastici simili a quelli che conosciamo è necessario attendere la
fine del XV secolo.
Le
trasformazioni dei metodi educativi e degli istituti deputati allistruzione
che si verificarono tra il 400 e il 600 furono ben più radicali, tanto che
per descriverli lo storico inglese Lawrence Stone è ricorso alla metafora della
rivoluzione educativa. Secondo Stone, tra il 1560 e il 1640, lInghilterra,
ad esempio, avrebbe raggiunto un livello di alfabetizzazione che avrebbe
conosciuto nuovamente soltanto dopo
La scoperta
del valore delleducazione segnò non soltanto linizio di una nuova fase della
storia della scuola e della pedagogia, ma decretò soprattutto la fine di quella
che Philippe Ariès ha definito unetà senza educazione. Lo storico francese era convinto che, a
partire dal 400-500, si sia cominciato a guardare allinfanzia e in
genere alle fasi della vita umana precedenti a quella adulta con unattenzione
e una premura nuove e soprattutto con una preoccupazione educativa che non esisteva nei secoli anteriori.
Si trattò certamente di un fenomeno lento e graduale, che nelle prime fasi fu circoscritto ai ceti più
agiati e istruiti, ma che poco alla volta interessò porzioni sempre più ampie
della popolazione europea.
Quali furono,
dunque, i fattori che innescarono la cosiddetta rivoluzione educativa? Ne
possiamo individuare schematicamente quattro:
1. Lumanesimo educativo. Il primo fattore è legato al sorgere, nel XV secolo, prima in
Italia (ad esempio con Leon Battista Alberti, Guarino Guarini, Vittorino da
Feltre) e poi nel resto dEuropa (Erasmo da Rotterdam, Tommaso Moro, Lutero,
Juan Luis Vives), dellUmanesimo, e in particolare della sua vocazione educativa, incentrata sugli
studia humanitatis. Alle origini
delleducazione umanistica stava il proposito di formare un uomo nel quale
sapere e buon gusto, carattere e cortesia fossero aspetti di ununica e
armonica realtà. Uno
sguardo più curioso sul mondo ed un alto concetto della dignità delluomo
si tradussero in una formazione comune, di natura letteraria, filosofica e storica,
preliminare a qualsiasi successiva specializzazione professionale. Lo studio
delle lingue classiche e delle letterature antiche, al pari degli insegnamenti
morali degli autori greci e romani, erano giudicati un sussidio indispensabile
per acquisire unhumanitas piena e
matura. Saper padroneggiare luso della parola (essere cioè esperti nella
retorica e nelleloquenza), ma al tempo stesso saper anche andare al di là delle
parole (Erasmo) per cogliere i sensi remoti della verità, voleva dire essere
persone che noi oggi diremmo competenti e capaci di senso critico, ma anche
sagge e timorate di Dio. La formazione delluomo colto e morale, inizialmente
prerogativa delle corti e dei ceti aristocratici italiani, a contatto con la cultura dei
Paesi del nord Europa, si arricchì di una nuova spiritualità, volta alla
creazione di un Cristianesimo vissuto in modo autentico, libero dalle
superstizioni e dalle corruzioni del tempo.
Diffondere questo modello educativo significava
compiere una vera e propria renovatio
mundi, cioè promuovere un modello di societas
christiana autenticamente ispirata ai valori della pietas (capacità di perdono, misericordia) e della charitas (amore verso Dio e verso gli
altri).
2. La ricerca di un metodo didattico efficace.
Tra 400 e 500 si moltiplicarono gli sforzi di uomini di cultura assoldati
come precettori nelle corti principesche, di semplici maestri e di
organizzazioni religiose per migliorare le pratiche dellinsegnamento. Se il
cuore del rinnovamento umanistico della cultura educativa fu lItalia, la
questione del metodo fu approfondita soprattutto nel nord dellEuropa. Allidea
di scuola affidata alla personalità geniale magari eccezionale - del maestro,
fece da contraltare il bisogno di un modello ben definito e facilmente
riproducibile: la scuola e linsegnamento considerati come un prodotto
collaudato dallesperienza collettiva più che come opera darte di un singolo
docente.
3. Linvenzione della stampa. Non va, poi,
sottovalutata la novità della generalizzazione della stampa a caratteri mobili
e del libro e, in specie, del libro vade
mecum e cioè abbastanza piccolo da potersi agevolmente maneggiare. Prima
della fine del 400, quando apparvero i primi testi tascabili, i libri erano
generalmente di grandi dimensioni, e dovevano spesso essere consultati appoggiandosi
su appositi tavoli o leggii. Le
occasioni di incontro con la scrittura e la lettura aumentarono sensibilmente
proprio grazie allintroduzione del torchio da stampa, che rese estremamente
più semplice e veloce la riproduzione di scritti, incrementandone la
circolazione. Tale innovazione determinò, tra laltro, la crescita di interesse
per lalfabetizzazione, sino a quel momento molto poco apprezzata non solo tra
i ceti meno abbienti, ma anche tra quelli agiati, che avevano scarse occasioni
di venire a contatto con un testo. Per questo, soprattutto allinterno di certi
contesti professionali e sociali, crebbe il bisogno di istruzione. La
produzione di libri maneggevoli rappresentò una spinta poderosa alla diffusione
della cultura e la novità entrò anche nelle scuole. Intellettuali e studiosi
cominciarono a predisporre anche manuali destinati alluso scolastico (Erasmo,
Vives). La spiegazione del maestro e la ripetizione della lezione basata su un
unico libro (il libro del maestro) cominciò ad essere integrata dalla lettura
del testo ad uso personale. Naturalmente levoluzione delluso del libro fu
molto lenta e interessò in una prima fase soprattutto gli studenti attratti
dalla fama delle Università più prestigiose. Ma il libro di studio personale
era destinato a diventare un requisito fondamentale anche nella vita scolastica
dei collegi e, più in là nel tempo, anche delle scuole primarie.
Abbiamo parlato sino ad ora di rivoluzione educativa. In realtà, sarebbe forse più corretto parlare di rivoluzione scolastica o di rivoluzione dellistruzione per indicare i mutamenti avvenuti nella cultura pedagogica europea allinizio delletà moderna. Linteresse per leducazione si concretizzò, infatti, soprattutto nellaccrescimento della domanda e dellofferta di istruzione, le quali determinarono a loro volta la nascita della scuola così come siamo abituati a concepirla ancora oggi. Indicare nellistruzione, piuttosto che nelleducazione, la principale scoperta dellEuropa moderna ci sembra corretto per due motivi: il primo è che dellinsieme complesso di teorie e prassi da cui è composta leducazione, che, in senso moderno, comprende tra le altre le pratiche di puericultura e digiene, linserimento sociale e la rieducazione, quella su cui si concentrarono le riflessioni e le sperimentazioni più innovative fu la trasmissione di contenuti formali, dallalfabeto alle lingue classiche, dal catechismo alla filosofia; il secondo motivo è che, tra la fine del 400 e i primi decenni del 700, il termine educare venne impiegato in prevalenza come sinonimo di istruire, a dimostrazione del fatto che proprio allinsegnamento era deputato il mandato di formare gli adulti del futuro.
Quella in uso nei primi secoli
delletà moderna nelle scuole degli umanisti così come in quelle rette da
Ordini religiosi, fu, quindi, unaccezione alquanto limitata di
educazione, intesa soprattutto come adeguamento ad un sistema di norme e regole
di vita etiche e sociali ben precise e collaudate (educazione come
disciplinamento dellintelligenza e del corpo). Educare significava
introdurre quanto più rapidamente ed efficacemente possibile il bambino nella
vita degli adulti, in modo che ciascun individuo conoscesse i doveri del
proprio ceto, li accettasse e li attuasse scrupolosamente. In questo contesto
leducazione ebbe per secoli anche la funzione di garantire la riproduzione del
patrimonio economico e culturale della famiglia. I valori educativi più
apprezzati erano, perciò, quelli dellobbedienza, dei buoni costumi e dellesempio offerto dagli educatori, a cui era
attribuita una forte e indiscussa autorità.
Il documento
più significativo di questo modo di intendere leducazione è rappresentato dallopera
di Silvio Antoniano (1540-1603), Tre
libri delleducatione christiana dei figliuoli, completata intorno al 1582,
pochi decenni dopo
la conclusione del Concilio di Trento nel quadro della Riforma cattolica.
Partendo dal presupposto della grande importanza di allevare cristianamente i
figliuoli, lAntoniano fornisce in primo luogo ai padri le indicazioni
necessarie per raggiungere questo scopo: una cura educativa premurosa e
costante, la preghiera e lesercizio della carità (elemosine e opere di
misericordia), la correzione precoce delle inclinazioni cattive, la giusta
severità sempre accompagnata dallamorevolezza, la sobrietà della vita
familiare, la ricerca di una scuola con buoni maestri.
In questa
parte del lavoro dellAntoniano si ritrovano varie riflessioni che, pur entro
un contesto semantico e
valoriale rigidamente legato alla tradizione, riflettono una viva
sensibilità educativa che va nel senso di quella scoperta dellinfanzia
destinata a manifestarsi in modo sempre più significativo nel 600-700. I
padri e le madri è già interessante notare come la responsabilità educativa
sia attribuita ad entrambi i genitori sono invitati ad occuparsi dei figli, invece di affidarli a domestici
e badanti, comera duso allepoca (non rincresca al padre di famiglia,
anzi prenda diletto e gusto di fare osservazione sopra il naturale carattere e
lindole del figliuolo), a non eccedere nelle punizioni (le battiture sono
come una medicina e come tale deve essere data a tempo e con misura), a
cercare una scuola che sia frequentata volentieri dai figli (il savio maestro
cerchi quanto più può di spianare la via malagevole del sapere, adattandosi con
pazienza alla capacità puerile).
Non bisogna dimenticare che anche la possibilità di frequentare una scuola vera e propria rimase per lungo tempo un miraggio per la maggior parte della popolazione. Infatti, sebbene tra XVI e XVII secolo si moltiplicassero, specie nelle città più grandi, le scuole primarie e secondarie, le modalità per venire a contatto con listruzione restarono assai varie, dal precettore al catechismo in parrocchia, dal maestro stagionale di villaggio a quello occasionale nel retro di una bottega; per di più, sino a 800 inoltrato, rimase acceso il dibattito tra i fautori dellistruzione pubblica, impartita in comune ad altri condiscepoli allinterno della scuola, e i sostenitori di quella privata, ricevuta singolarmente in famiglia per mezzo di precettori. Per questi motivi, a differenza di quanto avviene oggi, per secoli i termini istruzione e alfabetizzazione coincisero solo in parte con scuola.
Il modello
educativo degli umanisti, ereditato, rielaborato e diffuso dai collegi retti
dagli Ordini religiosi nel mondo cattolico e dalle comunità protestanti nei
Paesi riformati, potenziati nelle finalità spirituali e devozionali, ebbe tanta
fortuna da rappresentare per secoli lo strumento formativo per eccellenza dei
ceti che oggi diciamo dirigenti (in primo luogo i nobili, ma anche i borghesi
in cerca di affermazione sociale). Il collegio
dalla parola latina collegium,
gruppo di persone unite fra loro da vincoli e interessi comuni ha unantica
storia. Questa istituzione educativa sorse nelle prime Università medievali del
XIII secolo ed inizialmente si configurava semplicemente come un convitto nel
quale gli studenti fuori sede erano ospitati. In seguito, i collegi si diedero regolamenti e si
costituirono in comunità religiose o laiche spesso finanziate da qualche
benefattore. Oltre ad essere luoghi di accoglienza, con il tempo i collegi
cominciarono a diventare anche sedi di apprendimento di quelle nozioni
preliminari ritenute indispensabili per una buona riuscita universitaria. In
questo modo, gli studenti più anziani ed esperti introducevano i più giovani o
meno esperti al sapere. Lulteriore evoluzione del collegio fu segnata dalla
sua autosufficienza rispetto al sistema universitario, diventando lequivalente
di quello che è oggi la
nostra scuola secondaria.
Certo, forse
Eugenio Garin non aveva torto quando accusava le rationes (e cioè le
regole pedagogiche e didattiche che ordinavano la vita dei collegi) di essere
esempi sbiaditi dei brillanti e innovativi programmi didattici degli umanisti
del secolo precedente. È infatti vero che, presso i gesuiti, così come presso i
barnabiti e gli scolopi, il latino, pur continuando a rappresentare la materia
cardine dellinsegnamento, non costituiva più il mezzo per impadronirsi dello
spirito dei classici, ma era ripiegata sulla comprensione dei testi sacri e
finalizzata allaccesso alle carriere più prestigiose (tutte rigorosamente
esercitate in latino). Tuttavia, non si può trascurare che i collegi,
mentre cercavano di rendere i loro allievi partecipi di una cultura nobiliare
adeguata alla società che avrebbero frequentato, miravano a formare altrettanti
buoni cristiani, in grado non soltanto di rispettare la religione e la Chiesa,
ma anche di svolgere opera di apostolato con il proprio esempio, oltre che di
salvare la propria anima.
Luomo che
intendevano formare era prima di tutto un uomo di fede, cattolico, luterano o
calvinista che fosse (i collegi protestanti non si differenziavano sul piano
organizzativo e didattico da quelli cattolici). La convinzione da cui muovevano
era che unistruzione ispirata ai precetti delle Sacre Scritture fosse lunica
che da un lato poteva condurre luomo alla sua vera realizzazione, ovvero la
salvezza eterna, dallaltro, potesse farne un cittadino, inteso come suddito,
fedele e capace. Entro questa
cornice di fondo si poneva il sincero interesse per la diffusione della cultura
e dellistruzione. Esse, però, erano intese in senso alquanto strumentale,
ovvero come necessarie a sostenere la formazione cristiana dellindividuo e a
sorreggerne limpegno nel mondo. Questo non fu un carattere tipico
dellistruzione impartita nelle scuole confessionali. Ogni modello educativo
(anche quello, per esempio, militare) conservò, per tutta letà moderna e
ancora per buona parte dei secoli successivi, un carattere fortemente
funzionale, vale a dire strettamente commisurato con gli obiettivi sociali e
pubblici che si intendevano perseguire. Questo era vero per i rampolli delle
famiglie agiate, nobili o meno, ma era altrettanto vero per i futuri sovrani,
formati non con lobiettivo di farne grandi uomini, ma valorosi condottieri o
abili amministratori, oltre che garanti della fede dei loro popoli.
La
preoccupazione principale era quella di offrire ai figli una formazione che
permettesse loro di stabilire un rapporto corretto con il proprio contesto
sociale e di perpetuare i beni ereditati. Poiché per le classi sociali che
potevano permettersi unistruzione lobiettivo primario era di salvaguardare la
fortuna familiare, per secoli venne applicata la norma del maggiorascato, che
attribuiva ad uno solo dei figli il compito di tramandare il patrimonio,
riservando agli altri, sin dalla nascita, minori cure e ben più modeste
fortune. Inoltre, dato che per lungo tempo leducazione e soprattutto
lallevamento della prole continuarono ad essere reputate occupazioni di scarso
interesse e rendimento, furono delegate a figure estranee al nucleo familiare,
quali la balia e il precettore.
Il modello
su cui venne plasmata listruzione collegiale (e cioè pre-universitaria) fu
duplice: da un lato, ci si rifece allesperienza delle scuole umanistiche,
specialmente per quanto riguardava i contenuti dellinsegnamento e la
mutuazione dellinternato; dallaltro, venne utilizzata anche per listruzione
dei laici la struttura organizzativa e disciplinare della formazione dei
chierici introdotta dal Concilio di Trento, ovvero il seminario.
Quella del
seminario non fu uninvenzione dei prelati riuniti a Trento. Essi conoscevano
la sperimentazione compiuta proprio in quegli anni a Verona da Gian Matteo
Giberti nella Schola accolytorum, la quale aveva ispirato le poco più
tarde riforme proclamate dal sinodo londinese diretto dal cardinale Reginald
Pole, che nel 1556 aveva previsto listituzione, presso le chiese cattedrali,
di collegi volti a istruire i futuri preti nellecclesiastica disciplina et doctrina. Non a caso, gli atti del
sinodo vennero discussi a Trento per intervento del cardinale Morone, che aveva
provveduto a darli alle stampe con lapprovazione di papa Pio IV.
Il principio
che ispirò la riforma era di dotare i sacerdoti della preparazione sufficiente
a occuparsi in maniera soddisfacente della cura delle anime che, pur
rappresentando una delle mansioni più importanti del clero secolare, non era
oggetto di unapposita formazione, ma era in gran parte affidata allopera
apostolica svolta dagli ordini mendicanti. In seguito alle determinazioni
conciliari, i seminari cominciarono a diffondersi in tutta Europa. Sebbene
mancasse un modello formativo comune e il livello dellistruzione impartita nei
singoli istituti variasse notevolmente, la preparazione degli uomini di chiesa
conobbe un indiscutibile miglioramento. Ogni diocesi fu tenuta ad avere un
seminario, la cui gestione dipendeva direttamente dal vescovo (come era
avvenuto nel caso di Giberti a Verona), il quale era libero di affidarlo a
preti secolari oppure a qualche ordine religioso nato durante la Controriforma,
come i gesuiti o i barnabiti.
Contemporaneamente
alla scuola per il clero vide la luce anche listituzione a cui sarebbe stata
deputata per tutta letà moderna la formazione dei laici: per lappunto il
collegio. Da sempre le scuole per ecclesiastici erano frequentate anche da
secolari desiderosi soltanto di istruirsi e privi di ogni vocazione, i quali
abbandonavano gli studi senza prendere i voti. Poiché con le riforme tridentine questo tipo di
studenti venne escluso dai seminari, era necessario trovare nuove soluzioni per
permettere di istruirsi anche a coloro che non intendevano abbracciare la vita
clericale. Per questo
motivo la nascita del collegio fu pressoché simultanea a quella del seminario e
i due istituti addirittura si influenzarono reciprocamente. Tale influenza
risulta evidente sin dal nome, in quanto i collegi vennero definiti seminaria
nobilium. I punti di contatto andavano ben oltre la denominazione: tanto il
seminario quanto il collegio imponevano ai loro ospiti la residenza allinterno
dellistituzione, erano fondati su uninflessibile disciplina e unaltrettanto
rigida gerarchia, e fornivano uneducazione di stampo umanistico e religioso,
basata sulla conoscenza del latino che, come abbiamo già ricordato, costituiva il requisito
primo per essere considerato un
uomo colto.
Se molteplici
furono le relazioni e gli scambi tra le due organizzazioni formative, ciò fu
dovuto in gran parte al fatto che luna e laltra vennero spesso affidate a una
direzione comune. Essa fu per lo più assegnata, in campo cattolico, alle
congregazioni religiose nate in quello stesso periodo con lesplicito obiettivo
di contrastare il dilagare della Riforma protestante. Dopo aver acquisito in
breve tempo allinterno dei propri noviziati fama di abili insegnanti, oltre che
di tenaci evangelizzatori, barnabiti, scolopi, somaschi, e soprattutto gesuiti
vennero chiamati a dirigere numerosi seminari, mentre le autorità comunali e i
notabili li invitavano, a loro volta, con ingenti donazioni a fondare collegi
nelle città di tutta Europa. Fu così che i seminaria
nobilium conobbero una straordinaria diffusione, soprattutto ad opera della
Compagnia di Gesù, lordine che legò più strettamente la propria attività
apostolica allinsegnamento e alla scuola. La Ratio studiorum gesuitica
(cioè il regolamento delle scuole dei gesuiti) che dopo una serie di
revisioni e aggiornamenti ebbe la sua formulazione definitiva nel 1599
divenne, infatti, il modello teorico e empirico a cui si ispirarono sia le
altre congregazioni religiose dedite allistruzione sia le confraternite di
preti secolari.
Essa era
fondata sullinsegnamento di materie utili per fare carriera nelle pubbliche
amministrazioni, nel clero e nel foro, ovvero in tutte le professioni in cui
era necessario padroneggiare la parola. Non a caso, il curriculum gesuitico, al
pari delle rationes di tutti gli
altri Ordini religiosi contro-riformati, era incentrato sulla retorica e
sullapprendimento delle lingue classiche, a cui facevano da corollario la
filosofia e, naturalmente, la religione. Sin dalla loro
comparsa e sino a 700 inoltrato, i collegi della Compagnia di Gesù raccolsero
ampi consensi, in quanto seppero concepire e attuare un programma educativo bel
collaudato ed espressamente asservito al successo sociale e professionale di
matrice aristocratica. Tuttavia, le scuole gesuitiche, al pari degli altri
collegi retti da ordini religiosi, non furono aperti solo alla nobiltà, ma
accolsero alunni provenienti da tutti i ceti sociali, salvo quelli più poveri,
per i quali funzionavano soltanto le scuole di carità. A fare la
differenza interveniva, però, un fattore importante, ovvero il numero di anni
che i ragazzi potevano dedicare alla propria formazione, variabile che
dipendeva ovviamente dalle risorse economiche di cui disponevano le loro
famiglie. In effetti, listruzione offerta dai collegi gesuitici era quasi completamente
gratuita. Se, infatti, i pensionati gestiti dallOrdine non erano certamente
per tutti, dato che avevano spesso costi proibitivi sebbene riservassero un certo numero di
posti agli studenti meno agiati, i collegi della Compagnia erano, invece,
davvero a buon mercato, specie se paragonati a quelli di altri ordini religiosi
o retti da preti secolari. Essi, infatti, godevano di patrimoni cospicui e di
molteplice natura (comunale, demaniale, ecclesiastica, proveniente da donazioni
private) e quindi sicuri, che i gesuiti avevano imposto come requisito
imprescindibile sin dalla loro apertura proprio per garantire la gratuità
dellinsegnamento.
Ma il vero
problema per i giovani meno abbienti era quello di non essere costretti a
contribuire al reddito familiare sin dalla più tenera età, dovendo ritardare ad
oltranza lingresso a scuola, oppure venendo costretti a frequentarla a
singhiozzo. Per questo motivo, nei collegi di Antico Regime, così come nelle
scuole parrocchiali, non era infrequente trovare gomito a gomito bambini in età
scolare e giovani adulti alla loro prima esperienza di alfabetizzazione. E per
la stessa ragione gli studenti meno agiati frequentavano le aule scolastiche
con cadenze stagionali, alternando lo studio al lavoro. Più di
qualsiasi altra, però, leducazione ignaziana contribuì a fissare un modello
ideale di persona per bene a cui potevano e dovevano affidare la propria
prole tutte le famiglie che volevano garantirle una speranza di successo. Per
lungo tempo, quindi, il seminarium nobilium gesuitico rimase
listituzione scolastica a cui le famiglie aristocratiche o anche semplicemente
benestanti affidarono leducazione della loro prole, certi di avviarla così a
un sicuro inserimento allinterno della società.
Grazie a
questa sua caratteristica, il collegio rappresentò indiscutibilmente uno dei
mezzi più fortunati di evangelizzazione o di ri-evangelizzazione della società,
dimportanza pari se non superiore allInquisizione e alle missioni. Ben
consapevoli della forza educativa e culturale insita nel collegio, i gesuiti ne
esportarono il modello in tutte le parti del mondo in cui impiantarono le
missioni dellOrdine.
Listruzione
collegiale ebbe grande fortuna anche nel mondo protestante, che elaborò un
modello formativo in tutto e per tutto simile a quello cattolico. Un ruolo di
primo piano, in tal senso, va senza dubbio attribuito a Filippo Melantone
(1497-1560), il quale, riprendendo il messaggio di Martin Lutero, denunciò il
deplorevole stato in cui versavano le scuole della Sassonia in qualità, diremmo
oggi, di ispettore, e formulò una articolata proposta di riforma. Melantone era a sua volta
imbevuto dei princìpi dellUmanesimo e per questo anchegli previde come lingua
dobbligo per ogni ordine di scuola il latino. Inoltre, ribadì la necessità di
diffondere il più possibile listruzione, al fine di avvicinare il popolo alla
conoscenza delle Sacre Scritture. I precetti di
Melantone vennero messi con solerzia in pratica da Johan Sturm (1507-1589), il
quale fondò e diresse per oltre quarantanni a Strasburgo un gymnasium,
il cui curriculum di studi era incentrato, al pari di quello dei collegi
gesuiti, sui classici pagani e cristiani e su una rigorosa formazione
religiosa. Intanto,
a Ginevra, Calvino aveva aperto nel 1559 il suo collegio che, con quello dello
Sturm, rappresentò il modello di riferimento per leducazione nei Paesi
riformati (luterani e calvinisti).
La battaglia
scolastica ingaggiata tra i collegi dei gesuiti e quelli protestanti, specie
nelle zone di confine tra le due aree dinfluenza religiosa, ebbe il merito di
moltiplicare le opportunità di istruzione e di coinvolgere un numero crescente
di giovani. La diffusione delle scuole in ogni parte dEuropa, e specialmente
nelle città, determinò un notevole incremento della popolazione studentesca. Se
è vero, infatti, che listruzione rimase privilegio di pochi, è altrettanto
vero che la cultura uscì dal ristretto ambito dei monasteri e delle gerarchie
ecclesiastiche per divenire patrimonio di strati sempre più ampi delle élites
laiche. Mentre nel
corso del Medioevo listruzione era rimasta un privilegio di ristretti gruppi
di ecclesiastici, perlopiù chiusi in monasteri isolati dal resto del mondo, e
pochissimi erano i laici che venivano iniziati alla lettura e alla scrittura,
letà moderna vide aumentare sensibilmente la popolazione studentesca. A
beneficiare dellincremento delle possibilità formative furono però soprattutto
i ceti benestanti, al cui interno venivano reclutate le élites
dellamministrazione, dellesercito e della politica. Non soltanto i nobili,
quindi, ma anche i borghesi, che desideravano completare la propria ascesa
economica per mezzo di uneducazione che permettesse loro di essere accettati
allinterno di un mondo di cui era indispensabile conoscere e condividere
ideali e stili di vita.
Non si
trattò certo di unevoluzione lineare; anzi, come sembrano dimostrare tutte le
indagini sui singoli collegi e istituti, la conquista dellistruzione da parte
delle élites avvenne non
senza prolungate interruzioni, con alti e bassi, seguendo levolversi
della situazione politica ed economica dei diversi Paesi. Lo dimostra anche il
fatto che tra gli storici manca laccordo circa la provenienza sociale degli
allievi dei seminaria nobilium. Posizioni come quelle del gesuita
François de Dainville che, sulla base dei dati raccolti dai registri scolastici
dellepoca, sosteneva che tra gli scolari non mancavano i rappresentanti della
piccola e media borghesia, sembrerebbero almeno in parte smentite dalle
successive indagini di Walter Frijoff e Dominique Julia, che hanno messo in
luce che gli allievi di estrazione più umile avevano possibilità assai scarse
di terminare con successo gli studi, insistendo sulla funzione di controllo
della mobilità sociale esercitata dai collegi.
Un ulteriore
effetto della rivoluzione educativa è riscontrabile nei metodi didattici e
specialmente nei libri per la scuola, i quali conobbero per la prima volta una
graduale specializzazione. Infatti, se fino al Cinquecento erano stati usati
quasi esclusivamente testi che non erano stati composti appositamente per
listruzione, con leccezione dei manuali di teologia, gli umanisti, oltre a
ideare nuove modalità didattiche, produssero libri esplicitamente destinati
alla scuola. Ciò non determinò comunque la scomparsa delle opere usate
tradizionalmente per linsegnamento, quali i catechismi e le raccolte di
massime, che anzi continuarono ad essere utilizzate nelle scuole e
nellistruzione popolare ancora per tutto lOttocento.